“Terra degli uomini: lavoro e dignità” è questo il nome del progetto promosso dalla Caritas Diocesana di Viterbo, arricchito dalla collaborazione di Coldiretti Viterbo, Slow Food Viterbo e Tuscia, Terra Viva Viterbo, Fai Cisl Viterbo e Fai Cisl Lazio, che ha come obiettivo il contrasto alla povertà.
Ridare dignità grazie al lavoro e sperimentare un modello di lotta alla povertà fondato su percorsi di empowerment, con un approccio innovativo, strutturato intorno all’offerta di opportunità lavorative temporanee nell’ambito dell’agricoltura sociale
Con 72 domande presentate, ben 40 in più dello scorso anno, e 23 persone inserite al lavoro, di cui 16 in aziende agricole e 7 in altre realtà, altre 8 persone sono in via di inserimento in aziende agricole, il progetto al momento vanta 31 collocamenti: 3 sono donne, il 14% sono italiani, mentre gli altri provengono da Paesi africani e asiatici; 22 le aziende coinvolte. Inoltre, 30 persone saranno inserite in percorsi formativi per migliorare le proprie competenze ed essere inserite nel mondo del lavoro. Interris.it ne ha parlato con il dott. Onofrio Rota, segretario generale della Fai Cisl nazionale.
Onofrio Rota, cos’è il progetto “Terra degli uomini”?
“È un progetto nato in sinergia tra più soggetti attivi nel viterbese. La Caritas locale aveva proposto un patto dal nome ‘Alleanza Lavoro Solidale’ con l’obbiettivo di intercettare le opportunità occupazionali e sostenere l’accesso al mondo del lavoro, specialmente per le persone più in difficoltà. La Fai Cisl non poteva certo mancare all’appello, anche perché la proposta fa esplicito riferimento a principi che condividiamo pienamente e che sono anzi addirittura costitutivi della nostra federazione e della Cisl”.
Quali sono?
“Anzitutto l’idea di mettere la persona al centro delle azioni: la persona con tutte le sue specificità, competenze, fragilità, potenzialità. Poi il principio della sostenibilità, che non è solo ambientale ma anche sociale ed economica, e dunque si lega alla volontà di smarcarsi dalle politiche di puro assistenzialismo per abbracciare una visione più grande, quella di una persona che trova dignità e autonomia attraverso la costruzione di un percorso sociale e relazionale, non limitato dunque alla sola dimensione produttiva. C’è poi di fondo una sensibilità in senso solidaristico che dà al progetto un valore enorme, soprattutto in un momento delicato come quello che stiamo attraversando dall’arrivo dell’emergenza sanitaria”.
Come è nata la collaborazione con la Caritas Diocesana di Viterbo?
“La nostra federazione ha da sempre avuto le migliori espressioni nei progetti radicati sul territorio. In questo caso, dirigenti e operatori della Fai Cisl Viterbo e della Fai Cisl Lazio si sono attivati condividendo la volontà della Caritas locale di sperimentare un modello di lotta alla povertà fondato su percorsi di empowerment, con un approccio nuovo, strutturato intorno all’offerta di opportunità lavorative nell’ambito dell’agricoltura, in particolare dell’agricoltura sociale. Trovo positivo che nel progetto, realizzato grazie al contributo della CEI derivante dai fondi 8 x Mille, ci siano diversi soggetti locali, oltre alla Fai e a Terra Viva, che è la nostra Associazione di Liberi Produttori Agricoli: Università degli Studi di Viterbo, ACLI, Coldiretti, Slow Food. Costruire reti e alleanze è la vera sfida per saper dare risposte a persone e famiglie, specialmente davanti ai colpi inferti dalla pandemia a tutta l’economia mondiale, con pesanti ricadute in tutti i territori e in ogni comparto”.
Pensa che sia un progetto replicabile anche in altri territori?
“Ogni territorio ha le sue specificità ma è chiaro che questo progetto può e dovrebbe essere un modello di ispirazione per tutti. Sta crescendo nella Tuscia e non vedo perché non dovrebbe dare frutti positivi anche in tante altre realtà. Nell’agroalimentare, in particolare, nonostante le tante difficoltà, ci sono filiere che continuano ad avere trend positivi. In agricoltura, tanti territori stanno soffrendo la carenza di manodopera, dovuta soprattutto al blocco di tanti lavoratori stagionali provenienti da altri Paesi. Un motivo in più per facilitare l’inclusione sociale e lavorativa attraverso progetti di professionalizzazione e ricollocazione, dove la persona viene seguita in una visione di lungo periodo, tra l’altro con la possibilità di usufruire anche di percorsi personalizzati di orientamento, sostegno psicologico e familiare, tutoraggio”.
Riscoprire il lavoro in campo agricolo e potenziarlo potrebbe essere una delle soluzioni per contrastare la povertà?
“Assolutamente sì. Il lavoro agricolo è molto faticoso ma è anche un mestiere nobile, che unisce le persone e le comunità locali e caratterizza buona parte dell’identità italiana. Oggi più che mai vanno sostenuti quei progetti in grado di unire la solidarietà e la sussidiarietà con la valorizzazione delle nostre eccellenze produttive. Del resto, viviamo in un momento particolare, in cui alcuni strumenti di assistenzialismo economico, insieme alla politica dei bonus, rischiano di disincentivare il lavoro, il desiderio di costruire un futuro, senza peraltro incidere veramente contro la povertà e l’esclusione. Puntare sul lavoro, sull’occupazione dignitosa e ben contrattualizzata, è invece la vera leva per far ripartire il Paese creando condizioni di maggiore equità”.