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Tent of Nations: la fattoria che ha sconfitto l’odio

Dalla violenza, la nascita di un fiore fatto di relazioni, dialogo e ponti di pace: la storia di Daoud Nassar e della sua famiglia

Siamo in Terra Santa, dove le città trasudano di antichi racconti e profumi lontani, dove le più grandi tradizioni religiose, artistiche e culturali della storia si incontrano, una terra dalle mille sfumature, seppure non priva di enormi contraddizioni, martoriata dal conflitto tra Israele e Palestina. Proprio qui, a circa nove chilometri a sud-ovest di Betlemme, in Palestina, esiste un luogo che raccoglie in sé tutto ciò che di meglio questa Terra ha da offrire, che va oltre la violenza, oltre gli stereotipi e oltre le contraddizioni: si chiama “Tent of Nations”, la tenda delle nazioni. Ma andiamo con ordine.

La nascita della Fattoria

La famiglia Nassar, cristiano-palestinese, vive e lavora in una fattoria, sulla cima di una collina vicino al villaggio arabo di Nahalin, da quando il nonno di Daoud Nassar, l’attuale proprietario, acquistò nel 1916 quell’appezzamento dall’Impero Ottomano che occupava quei territori. Da allora i Nassar hanno sempre lavorato quella stessa terra con immutata passione e dedizione per generazioni, senza mai fermarsi. Nemmeno quando sembrava dovesse andare tutto in fumo. Da anni, infatti, sono costretti a subire soprusi e ingiustizie da parte dell’amministrazione civile e militare israeliana, che, avendo occupato quella zona del West Bank, preme con insistenza per ottenere il terreno della fattoria, di proprietà della famiglia, e annetterlo così agli insediamenti circostanti, realizzati nel corso dei decenni, che danno ad Israele una decisiva capacità d’azione e influenza in territorio palestinese. Nonostante l’isolamento, il taglio dell’elettricità e dell’acqua corrente e i vari soprusi (tra cui la distruzione in una notte di un’intera piantagione), Daoud Nassar, con la sua famiglia, non si è mai dato per vinto. La sua determinazione lo ha portato perfino ad aprire una causa legale, che va avanti da decenni, contro le ingiuste pretese di Israele, ribadendo con fermezza il legittimo possesso da parte della sua famiglia di quel terreno.

Un atteggiamento resiliente

Questa lunga, difficile esperienza di sofferenze e ingiustizie, vissute nel contesto del conflitto e dell’occupazione, ha fatto maturare in lui una forte consapevolezza: la sua risposta a tutto ciò non è stata la violenza, o il vittimismo, né tantomeno la fuga, ma si è concretizzata in un atteggiamento resiliente, costruttivo, creativo e soprattutto non violento. Queste sono le motivazioni che lo hanno spinto alla realizzazione nel 2001, nella sua stessa fattoria, di quello che ora conosciamo come “Tent of Nations”, un progetto di respiro internazionale, illuminato e guidato dal motto “we refuse to be enemies” (“ci rifiutiamo di essere nemici”).

Vie di pace

Questo progetto, infatti, nascendo da un pesante contesto di violenza, inimicizia e odio tra popoli vicini, si prepone di costruire ponti di relazioni tra le persone, abbattendo i muri talvolta insormontabili del pregiudizio e dell’indifferenza, facendo incontrare, dialogare e convivere tra loro culture, genti e tradizioni diverse in uno stesso luogo, la fattoria, e cercando di trasmettere a tutti la forza di contrastare le ingiustizie con la resilienza pacifica, in modo positivo e proattivo. In questo modo, la famiglia Nassar riesce concretamente a preparare delle vere e proprie vie di pace in quel territorio così difficile. La fattoria di Daoud si apre, dunque, al mondo, a chiunque voglia vedere e toccare con mano la sua esperienza, ed è in grado di mantenersi viva e portare avanti i suoi progetti grazie all’aiuto dei molti volontari provenienti da tanti paesi diversi: sono loro le braccia e il cuore pulsante delle attività in “Tent of Nations” ed è proprio grazie alla loro presenza se i soprusi contro la fattoria sono drasticamente diminuiti negli ultimi tempi.

Il lavoro di Tent of Nations

“I volontari internazionali hanno l’opportunità di cimentarsi in varie attività nella fattoria”, spiega Laura Munaro, una volontaria diventata referente per l’Italia del progetto della famiglia Nassar, diffondendo la sua storia nel nostro paese tramite “Tent of Nations Italia” (www.tentofnations.it). “Le attività vanno dal puro lavoro nei campi con la gestione dell’agricoltura nel rispetto della stagionalità, all’organizzazione di campi estivi dedicati ai bambini e ai ragazzi della zona, alla realizzazione di workshops dedicati alle donne palestinesi e alla loro emancipazione attraverso progetti dedicati al riciclo, all’insegnamento o alla sensibilizzazione ai diritti umani. Il tutto sempre seguendo un approccio open-mind ed incentrato sulla cooperazione e sulla crescita individuale delle persone.” Il tutto viene quindi svolto senza mai perdere di vista il vero obiettivo del progetto Nassar.

Cosa significa volontariato

“I volontari vivono in un clima familiare all’interno della fattoria: si incontrano, crescono insieme e condividono le loro storie”, racconta lo stesso Daoud, spiegando quale sia il senso, secondo lui, del fare il volontario presso la sua fattoria: “Il punto non è il volontariato fine a se stesso, ma il beneficio che tutti ricevono da esso, in termini di relazioni e presa di coscienza personale nei propri mezzi. Questo instilla, in chi ci aiuta, un circolo virtuoso che li motiva sempre di più. Non posso permettermi di pagare i volontari che vengono a darci una mano, ma posso far sì che ottengano in cambio qualcosa, con la loro esperienza da noi, che li aiuti a loro volta nella loro vita futura! Questo è il senso del volontariato: un arricchimento per entrambe le parti coinvolte.”

Il rifiuti dell’inimicizia

“Tent of Nations” è tutto questo e sicuramente molto di più, un’oasi apparentemente isolata e “fuori dal mondo”, nella quale, tuttavia, il mondo stesso si riconosce ed entra in contatto con ogni sua stessa parte. Quella di Daoud Nassar e della sua famiglia rappresenta senza dubbio una preziosa e importantissima testimonianza di come il rifiutarsi di essere vittime di una violenza che non si riconosce, o il rifiutarsi di essere nemici di persone ritenute nostri fratelli e sorelle, possa rappresentare un modo rivoluzionario, nella sua semplicità e genuinità, per provare a mettere in moto un cambiamento, partendo proprio dalle difficoltà apparentemente più difficili da superare, come la convivenza con un conflitto.

Un ideale di pace

La resilienza, la non violenza, la pace e la fede vengono innalzate a valori imprescindibili, messi in pratica fino in fondo, soprattutto attraverso il volontariato e la fatica del lavoro, diventando solide fondamenta di relazioni interpersonali, di crescita e di cura verso il prossimo. Attraverso questo esempio di fratellanza e di pace, la Terra Santa, terra di nessuno e terra di scontri, riesce a (ri)trasformarsi in terra di tutti e in terra di incontri, auspicando e concretizzando, nel piccolo di una fattoria, un’ideale di pace tra tutte le Nazioni.

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