Mater artium necessitas, dicevano i latini. In realtà la data di nascita di questo modo di dire è incerta, ma è sicuro che questa locuzione non è scomparsa né si è affatto arrugginita mentre attraversava i secoli, tant’è che oggi in italiano si usa il proverbio “la necessità aguzza l’ingegno” (anche se sarebbe più fedele all’originale la versione inglese, che recita “necessity is the mother of invention”). La crisi mondiale scatenata dall’epidemia di Coronavirus ha stravolto in maniera violenta, e a volte tragicamente definitiva, esistenze, sicurezze e servizi che hanno cercato di reagire come meglio hanno potuto, quando se la sono sentita. Il settore della cultura e dello spettacolo dal vivo in Italia ha subito un colpo, economico e spirituale, terribile dalla doppia chiusura dei cinema, dei teatri e della sale da concerto.
Si è rotto, ma potrà essere sicuramente ristabilito, quel filo che unisce l’attore, il musicista, l’esecutore e il pubblico e dà vita all’unicità di ogni singola esperienza live. Anche per una definizione non scritta, universalmente accettata dalla comunità degli artisti, che il teatro è “quell’evento che si verifica ogni qual volte che ci sia una relazione tra almeno un attore che agisca dal vivo in uno spazio scenico e uno spettatore che dal vivo ne segua le azioni”.
L’attività culturale però è proseguita, anche in questa sospensione della normalità, non inseguendo in maniera didascalica lo slogan “lo spettacolo deve continuare” ma impegnandosi a ristabilire connessioni e crearne di nuove allargando la platea dell’audience. Da marzo scorso non sono mancati live streaming sui social network, programmi televisivi e repliche di film, spettacoli, oltre a iniziative da parte di piattaforme dell’intrattenimento globali, con toni leggeri o drammatici, con lo scopo di rasserenare o di far riflettere e sensibilizzare. Il Teatro Stabile dell’Umbria, che già nella passata primavera ha realizzato la maratona poetica dedicata al suo concittadino Sandro Penna “Come è forte il rumore dell’alba”, s’inventa un nuovo modo per raccontare la vita del teatro e il lavoro degli attori, grazie alle tavole a fumetti del disegnatore e illustratore franco-belga François Olislaeger.
Tratti e segni
“Diario di uno spettatore clandestino” è il nome di quest’opera e di questa idea che ha raggiunto il pubblico degli appassionati sui canali social dello Stabile, e ha narrato per immagini non lo spettacolo recitato in costume, sotto le luci del palcoscenico, per una platea che era altrove, collegata in qualche modo. Il fumetto infatti è la trasposizione su carta, tramite segni e parole, dei lunghi giorni di prove dell’allestimento in attesa della messa in scena, dell’atmosfera dell’attesa del giorno della prima che era incerto per via dei rinvii e delle ordinanze.
Il 28 ottobre era previsto il debutto di “Guerra e Pace”, a cura del regista Andrea Baracco, nel cui cast è presente il rinomato volto del cinema e della televisione, Stefano Fresi. Un lavoro complesso e strutturato, già a partire dal lavoro di riduzione di un romanzo, quello di Lev Tolstoj, di 1200 pagine in un copione teatrale, fatica portata a termina dalla drammaturga romana di fama e respiro internazionale Letizia Russo – reduce, insieme a Baracco, dal successo della piéce “Il Maestro e Margherita” con Michele Riondino (l’attore de “Il giovane Montalbano”) – composto da due spettacoli singoli e autoconclusivi. Per facilitare il distanziamento, anche la platea era stato trasformata in palcoscenico dando così massima libertà agli attori.
Un lavoro anche corale, perché come anticipazione dello spettacolo, tra settembre e ottobre sono state eseguite in diversi luoghi di Perugia, come la Galleria nazionale dell’Umbria e il chiostro dell’università, otto rappresentazioni, dette “ritratti sonori”, dedicate ad alcuni personaggi del romanzo dell’autore russo, anche quelli apparentemente minori, curate ciascuna da una degli attori della compagnia. Gli otto ‘ritratti’ erano racchiusi dal titolo “Vorrei scrivere con tratti di fuoco”, citazione di una frase vergata dallo stesso Tolstoj quando non ancora ventenne fantasticava di cimentarsi con la scrittura.
Lo stop
“Guerra e Pace”, il romanzo, è una delle opere più imponenti e universali della cultura europea e occidentale, insieme alla “Divina Commedia” di Dante. È un’opera sterminata, come sterminati sono gli spazi della Russia e il cielo, azzurro e metafisico, a cui rivolge lo sguardo il principe Andrej ferito da una granata durante la battaglia di Borodino. È un’opera nuova e innovativa, che supera i limiti del genere del romanzo storico e quelli della prosa più intimista e riflessiva, portando gli individui, le loro vite e i loro sentimenti sul grande palcoscenico della Storia, dove gli accadimenti influenzano le vite di tutti i personaggi.
Il 2020 è stato un anno in cui, di nuovo, ciascuno degli abitanti del pianeta Terra ha dovuto fare i conti con gli avvenimenti che pressoché in contemporanea hanno riguardato, coinvolto e colpito tutti. La Storia è tornata a bussare alle porte delle storie di ciascuno, purtroppo portata da un virus di cui non è facile contenere la minaccia. Gli esseri umani sono tornati sul grande palcoscenico, o forse hanno acquisito consapevolezza, nel peggiore dei modi, di esserci tutti insieme. Non poteva quindi restare inespresso e indeterminato un lavoro teatrale così articolato, ispirato all’opera di Tolstoj più universale.
Il “fermate tutto” è arrivato a pochi giorni dall’esordio al teatro Morlacchi di Perugia. La rappresentazione era prevista per mercoledì 28 ottobre, ma il 25 ottobre il presidente del Consiglio Giuseppe Conte ha firmato il decreto che, per la seconda volta, ha calato i sipari e lasciate accese le luci in sala. Dopo gli sforzi e l’atto d’amore sincero profusi, da parte di esercenti e utenti, di conciliare un ritorno alla vita culturale e creativa con la sicurezza della salute, nel tentativo di rallentare l’emorragia economica e mantenere tesa la corda della volontà e della vita, una nuova chiusura vanificava tutto. Il settore culturale italiano impegna circa 830mila lavoratori, produce l’1,7% del Pil (al 2019) ed è da tempo abituato al lavoro agile, dato che quasi la metà di chi opera nel comparto è freelance. Per il mondo dei servizi culturali e ricreativi, libri e giornali il 2020 si chiuderà con un buco di 8,5 miliardi di euro, secondo stime di Confcommercio. Ed è difficile, anche se necessario, immaginare e sperare che il 2021 consenta di recuperare quanto è stato perduto.
Ma il teatro lotta per restare in vita, come mostrano i disegni di Olislaeger.
Un fumetto è tante cose
Questo “Diario” non è la prima collaborazione tra l’illustratore d’Oltralpe e l’ente teatrale umbro, già da tre anni infatti l’artista realizza le copertine per i programmi dei 18 teatri del circuito regionale. Olislaeger ha un curriculum da ‘matita’ di alto livello, con collaborazioni con quotidiani e periodici prestigiosi come Le Monde, Liberation, Beaux Arts. È inoltre autore di reportage a fumetti e della raccolta “Carnets d’Avignon”, la retrospettiva a fumetti delle edizioni dal 2008 al 2013 del Festival teatrale d’Avignone.
Stavolta si è trovato davanti un compito inedito, raccontare la nascita di uno spettacolo. La fatica e la ripetitività delle prove, l’attesa della prima nell’incertezza che fa oscillare tra la speranza e la delusione, gli errori e i tempi morti, il teatro vuoto di spettatori ma pieno di attori, maestranze, regista e assistenti tutti in attività per fare l’antica e artigianale macchina scenica. Un piccolo mondo frenetico e laborioso, attraversato da una tensione positiva e coinvolgente, tanto che il fumettista annota in una sua vignetta: “Si disegna meglio in teatro, c’è un’energia, l’energia umana che corre e si diffonde. L’intera sala ne è colma”.
Dal suo osservatorio privilegiato, il palco di uno degli ordini superiori, l’illustratore ha una campo visivo completo. È tutto in bianco e nero, per dare risalto completo alla sostanza delle cose, senza un uso particolareggiato dei dettagli per non distrarre il lettore. Sotto di lui, si muovono linee e tratti verticali e perpendicolari ad altre linee e segni per lo più orizzontali. Linee sottili o piene, mai chiuse che rappresentano gli attori che si spostano e recitano le proprie battute come a voler completare l’immagine a chi guarda. Il bianco domina la maggior parte della scene, spesso dei campi lunghi, dando possibilità di assistere all’azione in svolgimento. In nero solo i contorni delle persone e degli oggetti. Una frase, un salto, un gruppo di sagome, uno sbadiglio mentre ci si abbandona sulla sedia all’ennesima ripetizione, segno della stanchezza che fa capolino nella costante corrente di energia.
I protagonisti di questa storia a fumetti sono persone normali, non personaggi di fantasia dotati di potere ma eroi che nella vita di tutti giorni cercano di fare al meglio quello che vogliono e devono fare. Una magia c’è, lì tra loro, ed è quella che li solleva nello spirito un giorno dopo l’altro. Capita anche che questa magia li catturi fin troppo, come accade all’operatore che mentre sta riprendendo le prove con la videocamera distoglie l’attenzione dalla macchina per seguire in prima persona, coi proprio occhi, la storia che si svolge sotto di lui.
Ci sono dei momenti in cui la luminosità del bianco, in cui sono immerse le figure fisse o in movimento, viene schiacciata dal buio pesto del nero. L’oscura oppressione si mostra nelle scene dove la tensione drammatica, pulsante e irrequieta, finisce sommersa e annichilita dalla tragedia del vuoto della perdita del vita e dei significati che gli eventi infausti e le cadute imprimono nelle persone. Come il sordo dolore che ha tristemente lasciato tutti sbigottiti di fronte alla immagini dei camion militari che portavano via le bare, lo scorso marzo.
“Senza pubblico, senza applausi, sempre in prova, sembra uno spettacolo senza fine…C’è qualcosa di rassicurante”, scrive ancora l’autore. Nonostante fuori dal teatro risalgano rapidamente i contagi e i morti in tutta Europa, negli Stati Uniti il presidente uscente dichiari che il suo rivale ha truccato il risultato elettorale e i leader dell’Unione europea, impauriti e stanchi da questa crisi, optano per misure restrittive, all’interno del Morlacchi si è saldato un rapporto di fraternità amalgamato da quella magia propria dell’arte artigianale, quella che nasce da idee sublimi e prende vita giorno dopo giorno con impegno fisico ed intellettuale.
“Diario di uno spettatore clandestino” è un fumetto e tante altre cose insieme. Le tavole di Olislaeger sono anche gli occhi dello spettatore, sono uno sguardo al ventre profondo dell’attività teatrale che nasce sulle assi del palcoscenico. Sono lo svelamento delle forme del tempo, quello dell’attesa, in cui si agita ora con vivace impazienza e ora con triste rassegnazione, di andare in scena davanti al pubblico e quello dell’azione, in cui si costruisce e si profonde la propria anima in quello che si fa. Soprattutto, “Diario” è bella e coraggiosa testimonianza di un atto di resilienza e di resistenza del teatro e degli uomini e delle donne che lo rendono vero, concreto, visibile, di fronte ad ogni avversità, anche la più disastrosa.
Con queste parole dell’autore ricche di sincero amore per l’arte, si chiude questo racconto, che è anche un inno alla vita e un augurio di tornare presto a viverla: “Mi piace pensare che lo spettacolo continui. Con fervore e passione e con dentro tutte le sue luci. Il teatro, come il cuore pulsante di una città addormentata”.