Lo stato di emergenza climatica impone un rispetto per l’ambiente che solleciti cambiamenti sostanziali nei sistemi economici, di consumo energetico e negli stili di vita che devono diventare sempre più ecologicamente compatibili. Servono scelte globali, da parte dei governi, a livello internazionale, ancora solo dichiarate e in misura insufficiente praticate, così come molto si può cominciare a fare sensibilizzando le coscienze e i comportamenti individuali. Comportamenti individuali già di per sé utili, si può dire indispensabili, ancorché insufficienti, ma che possono fare la differenza e saldarsi con processi collettivi, che coinvolgono soprattutto i giovani, i primi a rischiare il collasso del pianeta e i decisori politici, che sono tenuti a scelte fondamentali. Ne sono la prova l’attivista svedese, Greta Thunberg, 16 anni, con sindrome autistica ad alto funzionamento (asperger), che ha portato all’attenzione dei grandi della terra un problema ormai da anni denunciato da migliaia di scienziati e ambientalisti, rimasti inascoltati, innescando movimenti di protesta in molte parti del mondo più industrializzato. Interris.it ha intervistato sui temi dell’inclusione e della svolta green il segretario confederale della Cisl Angelo Colombini.
L’intervista
In che modo si possono coniugare il contrasto all’emergenza climatica e l’inclusione delle persone con disabilità?
“A livello locale, da parte delle amministrazioni pubbliche di città e territori, si possono assumere decisioni consapevoli dell’emergenza e conseguenti, per fare la propria parte e, se si vuole, coniugare la tematica ambientale con quella sociale, dell’inclusione di persone disabili e svantaggiate. Le stesse persone che, come Greta insegna, a torto considerate solo un problema e non una risorsa, possono dare il loro contributo ed essere valorizzate per l’apporto reso al bene comune, in attività socialmente utili, quali quelle riconducibili ai PUC (Progetti Utili alla Collettività), collegati al reddito di cittadinanza”.
Quali attività per preservare l’ambiente potrebbero essere svolte dalle persone con fragilità?
“Si potrebbero coinvolgere in programmi inclusivi le persone fragili-vulnerabili e le associazioni che le rappresentano e ne tutelano i diritti, per “fare concretamente” interventi a incremento e mantenimento del verde urbano, che già di per sé, ci ricorda il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, può abbattere la maggiore quantità delle emissioni di CO2 e di sostanze inquinanti, come noto le maggiori responsabili del riscaldamento climatico e di seri danni alla salute delle persone. Oltre a coadiuvare il personale addetto nei compiti di raccolta differenziata dei rifiuti nelle aree verdi di frequentazione pubblica, le persone fragili-vulnerabili, in piccoli nuclei di 2-4 membri, coordinate da un operatore messo a disposizione dalle cooperative appaltatrici o da altre realtà del terzo settore, potrebbero svolgere funzioni di tutela e vigilanza ambientale, con attività quali: la piantumazione di essenze arboree e floreali, con relativa manutenzione e annaffiamento; la raccolta di legno di potatura riutilizzabile per finalità didattiche (outdoor education) e per la realizzazione di piccoli manufatti (nidi, mangiatoie, bat box, rifugi per insetti utili e microfauna, ecc.); presidio degli accessi nelle aree visitabili (aperture/chiusure dei cancelli di entrata, controllo biglietti, ecc); eventuale alimentazione e soccorso degli animali, in particolare delle specie protette”.
In che modo queste attività possono generare un processo inclusivo più ampio?
“Queste sono attività che rientrano tra quelle cosiddette di pubblica utilità per la gestione di beni ambientali e comuni, che possono essere svolte da persone disabili/svantaggiate la cui operosità assume valore sociale e inclusivo, a prescindere dall’entità del contributo reso nella filiera di servizio, con forme di impiego regolabili secondo diversi profili giuridici. Si potrebbe a tutti gli effetti configurare un ampio e progressivo processo inclusivo, articolato in percorsi individuali e di piccolo gruppo, dove i singoli più difficilmente occupabili possano essere coinvolti prima in forme di partecipazione alla comunità, nella gestione dei beni comuni, non ultimo l’ambiente, per traslare, poi, avendo maturato competenze adeguate, a forme assuntive nella cooperazione sociale di tipo b e in altre imprese della green economy. Servono politiche attive del lavoro che non selezionino negativamente chi è meno occupabile e servizi di welfare comunitario, generativi, prossimi ai cittadini in generale e a quelli più fragili in particolare”.