“La tratta di esseri umani è una piaga nel corpo dell’umanità contemporanea, una piaga nella carne di Cristo”. Con queste parole severe papa Francesco, alla conferenza internazionale sulla tratta del 10 aprile 2014, richiamava la nostra attenzione e scuoteva la nostra coscienza su questo fenomeno di oppressione e sfruttamento del più debole, del più vulnerabile, del più bisognoso, che viene obbligato o ingannato a trasferirsi altrove e a condurre un’esistenza di assoggettamento e abuso per il profitto altrui. Uomini, ma soprattutto donne e minori, particolarmente bambini e giovani ragazze, ne cadono vittime per motivi socio-economici o perché, dovendo lasciare forzatamente il proprio paese a causa di un conflitto o di qualche altra grave situazione, finiscono in questi illeciti canali.
I dati
Secondo l’Organizzazione delle Nazioni unite (Onu), il 72% delle vittime di tratta individuate sono donne e bambine, mentre e a livello globale una vittima su tre, tra quelle identificate, è minorenne. In un giro d’affari criminale che genera profitti annuali pari a oltre 150 miliardi di dollari, due terzi dei quali provenienti dallo sfruttamento sessuale, in base a un dato del 2014 dell’Organizzazione internazionale del lavoro (Ilo). Nella sua XII edizione del suo rapporto “Piccoli schiavi invisibili”, Save the Children Italia riporta una serie di dati analizzati dalla prima piattaforma globale di data sulla tratta di persone, il CounterTrafficking Data Collaborative. Da questi emerge come tra il 2019 e il 2021 le vittime di tratta sono state 34.020, 27.840 sono state identificate nel 2019, 4.120 nel 2020 e 2.060 nel 2021. Un tendenza in diminuzione che potrebbe aver risentito delle misure restrittive legate alla pandemia. Riguardo alle aree dello sfruttamento a cui erano destinate le vittime di tratta, sempre secondo il CounterTrafficking Data Collaborative, nel 2019 (su 23.432 casi riportati nel database), il 69,8% era indirizzato allo sfruttamento sessuale, il 30% a quello lavorativo, mentre il 0,2% dei soggetti è stato vittima di altre forme di sfruttamento. Il 94,7% delle vittime costrette allo sfruttamento sessuale sono donne, anche minorenni. Per quanto riguarda lo sfruttamento lavorativo, il 51,4%6 delle vittime sono uomini e il 48,6% donne.
In Italia
Sempre Save the Children fa una panoramica sul contesto italiano, ricorrendo ai dati ufficiali del Dipartimento per le Pari opportunità, processati nell’ambito della piattaforma Sistema informatizzato per la raccolta delle informazioni sulla tratta (Sirit). Nel 2021 le persone assistite dal sistema anti-tratta risultano essere complessivamente 1.911 e la forma di sfruttamento prevalente è quella sessuale (48,9%), seguita dallo sfruttamento lavorativo (18,8%).
Talitha Kum, le suore anti-tratta
Chi opera attivamente per aiutare le persone vittime di tratta a uscirne, o chi è sopravvissuto a ricostruire un rapporto con sé e a riacquistare la propria autonomia socio-economica è Talitha Kum, la rete mondiale contro la tratta fondata presso l’Unione internazionale delle Superiori Generali nel 2009, per coordinare gli sforzi delle suore impegnate in questo ambito. Presente in 92 Paesi e composta da 6.039 persone, suore cattoliche e laici, Talitha Kum opera al fianco degli sfruttati con iniziative incentrate su prevenzione del pericolo di cadere nella rete della tratta, protezione, reinserimento sociale e azioni che vanno a incidere sulle cause sistemiche del fenomeno. Tutto questo con un approccio pastorale fondato sulla convinzione che la dignità delle persone oppresse si ricostruisce anche a partire dalla fondamentale dimensione spirituale. Nel 2021 sono state 336.958 le persone raggiunte dalle sorelle di Talitha Kum, e tra queste le vittime sono state 13.404, in diminuzione del 18% rispetto all’anno precedente.
L’intervista
Per conoscere l’attività di questa rete internazionale anti-tratta, Interris.it ha intervistato la coordinatrice internazionale suor Gabriella Bottani, missionaria comboniana vincitrice del premio di “eroe contro la tratta di persone” del Dipartimento di Stato americano.
Come si compone la rete di Talitha Kum?
“Al 31 dicembre 2021 le reti nazionali in 92 Paesi sui diversi continenti erano 55, cinque in più rispetto all’anno precedente, salite poi a 56 a febbraio con la partenza di una nuova realtà in Bolivia. Le reti nazionali sono il nucleo base dove, in un determinato contesto, le religiose e le altre organizzazioni si attivano per farsi prossime alle vittime di tratte e a coloro che vi sopravvivono, a partire dalla nostra identità di suore. Le sorelle di Talitha Kum sono attente sentinelle sul territorio, si muovono negli slums o nelle favelas e sono in grado di identificare le situazioni in cui c’è il pericolo della tratta e chi sono le vittime, lavorano nei campi profughi, nei luoghi impoveriti”.
Qual è il trend del fenomeno del traffico di persone e quali cambiamenti lo attraversano?
“I dati che raccogliamo sono quelli legati al nostro lavoro, cioè a quelle persone che incontriamo o che raggiungiamo nei contesti di rischio, dove svolgiamo azioni di prevenzione del pericolo della tratta. Nel 2021 abbiamo registrato un aumento delle persone incontrate rispetto all’anno precedente, dove avevamo avuto una diminuzione dovuta al lockdown, che probabilmente rendeva molto più difficile alle vittime raggiungerci e rivolgersi a noi. Osserviamo che c’è un aumento drammatico delle situazioni a rischio e che il contesto della tratta sta mutando: le grandi crisi trasversali degli ultimi anni, quella economica, quella umana, l’incertezza e l’instabilità aumentano la vulnerabilità delle persone”.
La guerra in Ucraina rischia di far accrescere il numero delle vittime di tratta?
“I centri di accoglienza gestiti dalle suore cominciano a vedere delle ragazze ucraine tra le vittime di tratta e si sta svolgendo un lavoro sia di prevenzione che di denuncia tra i rifugiati da quel paese. Uno dei fattori da tenere sotto osservazione, in contesti di vulnerabilità, è quello delle dinamiche che riguardano i minori non accompagnati, dinamiche dove possono infiltrarsi e operare le realtà criminali”.
In che modo la vostra identità di suore si declina nell’attività di contrasto alla tratta?
“Con la prossimità alle comunità ferite dalla tratta, alle vittime che ne sono uscite o che sono ancora in fase di sfruttamento, penso ai gruppi di strada, portiamo il nostro specifico lavoro pastorale accanto a queste persone. Nel processo di guarigione e recupero della dignità di una vittima di tratta la dimensione spirituale è fondamentale. Portiamo in questo processo quella profondità umana che nasce dalla relazione con Dio. Nella dimensione spirituale, uno dei momenti importanti della vita della rete Talitha Kum è la Giornata mondiale di preghiera e riflessione contro la tratta, che si celebra da otto anni ogni 8 febbraio. La preghiera è un momento importante per trovare le forze di agire e in diversi luoghi del mondo ha consentito di aprire ampi spazi di collaborazione. Come ha detto il Santo Padre in occasione della settima edizione, ‘la preghiera tocca il cuore e spinge ad azioni concrete, ad azioni innovative, coraggiose, che sanno assumere il rischio confidando nella potenza di Dio’”.
Ci può illustrare la vostra campagna #CareAgainstTrafficking?
“Si tratta di un’iniziativa portata avanti il 30 luglio 2021 come punto di passaggio verso la nascente call to action. Nel momento della crisi legata alla pandemia, abbiamo pensato che dovevamo passare dalle denunce alle proposte. Abbiamo compreso che non è sufficiente dire che la tratta esiste, ma bisogna immettere nella società un lievito che faccia nascere una dimensione diversa dallo sfruttamento. Il fermento del bene è la cura per far finire la tratta”.
Quali sono le aree d’impegno della vostra call to action, a cui faceva poco fa?
“L’abbiamo elaborata nel 2021, quando il lockdown ci ha obbligato a fermarci e leggere in modo diverso l’esperienza delle suore contro la tratta . Si avverte il ‘marchio’ dell’esperienza pandemica: quello che noi facciamo, prenderci cura come risposta a un’economia di sfruttamento, è uno stile di vita, la risposta di un’economia della cura che va al di là del profitto per raggiungere il benessere di tutti. La tratta lascia ferite non solo alla persone vittime ma anche a chi è coinvolto in questa attività e infine alla stessa società. Alla cura vanno unite l’accesso alla giustizia, l’empowerment, il reinserimento sociale, perché il processo di liberazione dalla tratta sostiene le persone nella scoperta e nella valorizzazione dei loro doni”.