I violenti scontri che si sono verificati il venerdì prima della fine del Ramadan a Gerusalemme si sono allargati a macchia di olio fino a far riaccendere il conflitto sulla Striscia di Gaza. Fra raid aerei e lanci di razzi da entrambe le direzioni, la scia di morte e distruzione sembra non avere fine. In quello che sembra essere il conflitto più aspro della zona, secondo le ultime stime si parla di oltre 200 morti, tra cui 61 minori. Le equipé di Medici senza Frontiere si sono attivati e stanno supportano la Mezzaluna Rossa palestinese nella presa in carico di centinaia di pazienti feriti, la maggior parte con ferite causate da proiettili di gomma, granate assordanti e oggetti contundenti.
Distrutta una clinica a Gaza City
I bombardamenti su Gaza hanno causato la distruzione di una clinica di Medici Senza Frontiere, che fornisce trattamenti per traumi e lesioni: la stanza dedicata alla sterilizzazione è inutilizzabile, mentre l’area di aspetto è stata completamente danneggiata. Inoltre, il bombardamento di un edificio residenziale nel centro di Gaza, ha causato la distruzione del principale laboratorio per esami legati al coronavirus della città, un orfanotrofio, una scuola superiore femminile e gli uffici del ministero della Salute palestinese. Inoltre, i servizi di telemedicina forniti dal ministero durante la pandemia di coronavirus sono stati interrotti dopo che un certo numero di medici sono rimasti feriti.
Una situazione drammatica
Episodi che fanno capire come nessuno è al sicuro in nessun luogo. Una situazione drammatica, tanto più se si considera che dallo scorso 14 maggio, inizio del conflitto tra Israele e i gruppi armati della Striscia di Gaza i servizi salvavita sono la punto di rottura anche a causa del danneggiamento delle linee elettriche, le forniture di carburante sono esigue e Israele ha chiuso il confine attraverso il quale entrano i rifornimenti. Se da un lato i bombardamenti continuano incessantemente, dall’altro le strutture sanitarie e le infrastrutture civili potrebbero presto essere lasciate senza l’energia necessaria per erogare forniture cruciali e cure di emergenza.
L’intervista
Per approfondire la situazione – anche dal punto di vista sanitario – in cui si trova la popolazione della Striscia di Gaza, per capire come gli operatori sanitari, sia medici sia infermieri, portano avanti la loro professione, quali sono le conseguenze sulla salute delle persone di questo conflitto, Interris.it ha intervistato il dottor Maurizio Debanne, capo ufficio stampa di Medici Senza Frontiere Italia.
Dottor Debanne, qual è attualmente la situazione nella Striscia di Gaza?
“La definirei volatile. Da un certo punto di vista possiamo raccontarla con edifici e case distrutte, persone sfollate, strade colpite dai bombardamenti, anche quelle che portano agli ospedali e quindi una difficoltà in più per i feriti ad accedere alle cure mediche. Molto spesso, ma soprattutto durante lo scorso weekend quando c’è stato un intensificarsi del conflitto, molte persone si poneva il dilemma se conveniva restare in casa con la paura di essere colpiti dalle bombe, o se uscire per andare a curarsi ed essere coinvolti nei combattimenti. Attualmente, credo che la speranza della popolazione civile sia quella che venga raggiunta una tregua, affinché gli attacchi israeliani su Gaza e i lanci di razzi verso Israele possano cessare, in modo che gli aiuti umanitari – questo è un appello lanciato anche da Medici Senza Frontiere – possano entrare nella Striscia, sulla quale da 14 anni pesa un blocco economico che è stato inasprito da quando il conflitto è nuovamente esploso”.
Nonostante bombardamenti e lanci di razzi senza fine, come il personale medico riesce a svolgere il suo compito? Con quali rischi?
“Il personale sanitario, come accaduto anche in Europa in seguito alla prima ondata della pandemia da Covid-19, è impegnato costantemente per fronteggiare la pandemia, lavora senza sosta. E comincia a manifestare un po’ di stanchezza. E’ un lavoro che non può cessare e con la recrudescenza del conflitto aumenta. Gli ospedali a Gaza, già soffrivano di una carenza di forniture a causa del blocco economico imposto, il sistema sanitario negli ultimi mesi è passato dal dover gestire mille casi a settimana a mille casi al giorno di pazienti Covid. Oggi si ritrova, inoltre, a gestire una mole di feriti, seppur non in condizioni gravi, ma sono comunque un numero abbastanza elevato per le strutture della zona. Si lavora senza sosta, per cercare di curare i feriti, molti dei quali bambini”.
Dal punto di vista medico e psicologico, quali sono le conseguenze dell’inasprimento del conflitto sulla popolazione?
“Negli ospedali che Msf supporta, in particolare l’ospedale di Al Awda, riceviamo circa una cinquantina di pazienti al giorno con ferite e ustioni gravi. Ma bisogna tenere conto del bilancio che hanno le escalation di questi conflitti. Nel 2014 ci sono stati 11mila feriti, poi ci sono stati circa 7mila feriti nelle proteste del 2018-2019, quando c’è stata la cosiddetta ‘marcia del ritorno’, e oggi ci troviamo con oltre mille feriti. Le persone che sono rimaste ferite nel 2018-2019, hanno riportato lesioni permanenti, soprattutto agli arti inferiori, che porta ad una disabilità. Proprio per questo, uno dei progetti di Msf attivo nella Striscia riguarda delle cliniche che si occupano della riabilitazione. L’impatto psicologico è abbastanza forte. Gaza è una delle aree al mondo più densamente popolate ed è anche una delle più povere. Chiaro che chi nasce e vive a Gaza prova rabbia e frustrazione rispetto a un conflitto storico che rimane irrisolto”.
Domenica Papa Francesco, all’Angelus, ha ricordato le sofferenze che patiscono i minori che si trovano in zona di guerra. Quali traumi riportano i bambini?
“Vivere in un contesto di violenza ciclica, dove vedi violenze ripetersi costantemente, come può essere il conflitto israelo-palestinese, ha un impatto psicologico molto forte. Questo non solo per chi vive nella Striscia di Gaza, ma anche per chi si trova in Israele che costantemente deve convivere con il lancio di razzi e il suono delle sirene. Noi di Msf non abbiamo progetti specifici sui bambini a Gaza. Però, per la nostra esperienza, possiamo dire che questi traumi restano. Posso fare l’esempio di quello che vediamo a Lesbo, isola greca dove ci sono dei centri per migranti, soprattutto siriani, iracheni… I bambini che arrivano nella nostra clinica di supporto psicologico, presentano diversi disturbi causati dalle violenze e dalle sofferenze subite: alcuni smettono di parlare, altri hanno compiuto anche atti di autolesionismo. La guerra e la guerra, è brutta, figuriamoci vissuta da un bambino. Ha un impatto molto forte, anche dal punto di vista della fiducia nel prossimo e per il futuro”.
Quali sono i progetti di Msf nella Striscia di Gaza?
“Al momento, ovviamente in fase di emergenza stiamo cercando di supportare alcuni ospedali pubblici a Gaza, che quelli che stanno ricevendo il maggior numero di feriti. I progetti, quelli che potremmo definire regolari, sono soprattutto delle cliniche per curare ferite da ustioni.
La Striscia di Gaza potrà mai raggiungere la pace?
“Dovrebbe essere sempre possibile raggiungere la pace, ma serve la volontà politica di entrambe le parti coinvolte nel conflitto, prima di tutto. Inoltre, sarebbe necessaria una terza parte che possa aiutare israeliani e palestinesi a mettere le loro ragioni sul tavolo”.