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Invecchiamento fragile: sos stili di vita

La comunità scientifica si mobilita per la prevenzione dell’invecchiamento fragile. La fragilità è una sindrome clinica caratterizzata dal declino di molteplici funzioni fisiologiche del corpo umano, comprese le abilità fisiche, cognitive e sociali. Il significativo aumento dell’aspettativa di vita avvenuto negli ultimi decenni ha reso la fragilità una problematica sempre più comune nei paesi occidentali. Va fronteggiata ora l’enorme impatto socio-economico legato all’assistenza della popolazione anziana più fragile. Un team di ricercatori italiani composto da neuroscienziati, biochimici, geriatri e neurologi ha scoperto l’esistenza di una nuova traccia neurochimica. Che correla i livelli sanguigni degli aminoacidi D-serina e glicina con l’invecchiamento fragile. La ricerca, pubblicata sulla rivista scientifica Translational Psychiatry (Nature Group), è stata coordinata dal professor Alessandro Usiello. Direttore del Laboratorio di Neuroscienze Traslazionali del Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore. Ordinario di Biochimica Clinica presso l’Università della Campania Luigi Vanvitelli. E dalla professoressa Enza Maria Valente, responsabile del Centro di Ricerca in Neurogenetica della Fondazione Mondino di Pavia. Ordinario di Genetica Medica presso l’Università di Pavia.

Foto di Philippe Leone su Unsplash

Stili di vita

In particolare, lo studio ha evidenziato che i soggetti anziani fragili hanno livelli ematici di D-serina più elevati rispetto agli anziani sani. I ricercatori hanno inoltre scoperto che negli anziani fragili il rapporto tra D-serina e serina totale (un indice di conversione tra le due forme di questo aminoacido fisiologicamente presenti nel corpo umano) e i livelli ematici di glicina rispecchiano la gravità dei sintomi cognitivi e depressivi. I pazienti con maggiori difficoltà cognitive e affetti da depressione avevano livelli più elevati dei due parametri biochimici nel sangue rispetto agli anziani con abilità cognitive conservate e non depressi. In Italia si stimano due milioni di anziani con disabilità dei quali 700.000 mostrano una grave dipendenza. A precedere la perdita dell’autonomia nella persona anziana è lo “stato di fragilità”, una condizione multifattoriale reversibile se precocemente intercettata. Ernesto Palummeri e Claudia Bianchi (Azienda Ligure di Sanità) propongono alcuni strumenti per la valutazione dello stato di fragilità, nelle sue diverse dimensioni. Oltre ad indicare interventi concreti per favorire un invecchiamento attivo. Spiegano gli esperti: “Per quanto il processo di invecchiamento sia polifattoriale, e non completamente conosciuto, alcuni elementi appaiono costanti quali una condizione infiammatoria cronica (inflammaging) di basso grado che può diventare, se incrementata, un importante effettore delle principali patologie croniche, comprese quelle neurodegenerative”.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Ricerca

La ricerca scientifica è indirizzata a riconoscere sintomi o condizioni (oltre a parametri bioumorali, quali la proteina C reattiva–PCR) che dimostrino un’aumentata attività infiammatoria cronica dell’organismo e possano rappresentare un marker indiretto dello stato di salute e del grado di invecchiamento. Una condizione, evidenziano Bianchi e Palummeri, che può accompagnarsi a un maggior grado di infiammazione cronica e precoce invecchiamento è la fragilità. Sia nel campo della ricerca, sia tra i professionisti della salute il termine “fragilità” è spesso utilizzato in modo improprio. Concetti come “disabilità” e/o multimorbilità sono di frequente considerati sinonimi di fragilità. E’ pertanto necessario specificare come la fragilità sia piuttosto una condizione che rende anche fattori e traumi apparentemente trascurabili, eventi causa di gravi effetti avversi sulle condizioni generali e sullo stato funzionale della persona, compresi il peggioramento dello stato di salute e la perdita di autonomia. E’ quindi importante affermare che la fragilità è reversibile tramite la messa in campo di interventi specifici al fine di evitarne l’evoluzione nel tempo verso la disabilità e la dipendenza. Il cattivo uso del termine fragilità è stato illustrato da Jorge Pinto all’Accordo Quadro tenuto a Roma nella Joint Action sulla fragilità, alla quale hanno partecipato i maggiori esperti europei del settore. Stratificando la popolazione per sesso, i suddetti risultati sono stati confermati selettivamente nelle pazienti di sesso femminile, ma non in quelli di sesso maschile.

Nonno e nipote. Foto di Janosch Lino su Unsplash

Nuovi scenari

“Questa scoperta apre nuovi scenari di applicazione della cosiddetta ‘medicina di genere‘ nell’ambito della geriatria – afferma il professor Usiello -. I prossimi step saranno estendere lo studio di Biochimica Clinica a casistiche di pazienti più ampie e, al contempo, indagare il ruolo della nutrizione. Ed i meccanismi biologici responsabili delle variazioni emerse nello studio. E verificare quindi se le alterazioni osservate nei livelli sanguigni di D-serina e glicina nei soggetti fragili rispecchiano una sofferenza cerebrale. Oppure se sono principalmente legati a cambiamenti nel metabolismo degli organi periferici“. Gli studi clinici e di laboratorio si sono avvalsi, tra gli altri, anche del contributo di due talentuosi dottorandi di ricerca Alberto Imarisio (Università di Pavia) ed Isar Yahyavi (Università Vanvitelli), prime firme congiunte del lavoro, finanziato dalla Fondazione Cariplo e dal Progetto.

Foto di Robina Weermeijer su Unsplash

Vita e prevenzione

“La salute del cervello va coltivata ogni giorno”, protetta con stili di vita sani e allenata anche socializzando. C’è la prevenzione al centro del World Brain Day. La Federazione mondiale di neurologia, assieme a tutte le grandi associazioni di neurologia e neuroriabilitazione a livello globale, ha deciso di evidenziarla come priorità per sensibilizzare non solo i pazienti, ma tutti i cittadini. Avere cura del cervello, avvertono gli esperti, è un compito quotidiano che spetta a ognuno di noi. “La salute del cervello va intesa come un qualcosa che dobbiamo imparare a considerare ogni giorno, coltivandola”, afferma Matilde Leonardi, direttore della Struttura complessa di Neurologia, Salute pubblica, Disabilità e del Coma Research Centre della Fondazione Irccs Istituto neurologico Carlo Besta di Milano. E membro del board dell’Accademia europea di neurologia. “Fare prevenzione delle malattie del cervello – spiega la specialista – vuol dire essere consapevoli che una dieta equilibrata, una corretta attività fisica e coltivare le relazioni sociali sono azioni che hanno un ruolo fondamentale nel garantire il benessere del nostro cervello. Se si ha la salute del cervello, si ha salute, e quindi imparare a gestire e prevenire quei fattori che possono portare danno al proprio cervello è un esercizio che ognuno di noi può fare con semplicità. Un messaggio che viene diffuso contemporaneamente da tutti i neurologi in tutti i Paesi nel mondo e anche dal nostro istituto. Occupatevi del vostro cervello, noi neurologi siamo qui per aiutarvi a farlo”.

Giacomo Galeazzi

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