“L’invasione delle specie aliene invasive in Italia – quali animali, vegetali o funghi da altri continenti – non è causata dai cambiamenti climatici”.
Lo spiega a In Terris il dottor Lorenzo Bazzana, responsabile economico Coldiretti. Il clima estremo di agosto – aveva detto la Confederazione Nazionale Coltivatori Diretti – ha causato non pochi danni all’agricoltura e, conseguentemente, agli agricoltori e ai consumatori. “Con questo tipo di clima, è difficile fare agricoltura in qualsiasi contesto, non solo in Italia. Relativamente al Belpaese, il clima pazzo di agosto si è aggiunto alle altre complicazioni quali le guerre commerciali, gli embarghi, i dazi, i danni apportati dalle specie aliene e – non ultimo – il coronavirus, con il crollo dei consumi”, aveva commentato sempre su In Terris lo stesso Bazzana lo scorso 3 settembre.
Oggi, dopo la richiesta di un lettore, il responsabile economico ha voluto fare un chiarimento in merito ai danni – diretti e indiretti – che le specie aliene stanno causando al comparto agroalimentare italiano. Danni consistenti che non accennano a diminuire. Anzi, nell’immediato futuro potrebbero peggiorare.
Le specie aliene
In biologia, per specie alloctona o specie aliena si intende una qualsiasi specie vivente (animale, vegetale o fungo) che, a causa dell’azione dell’uomo (intenzionale o accidentale), si trova ad abitare e colonizzare un territorio diverso dal suo areale storico, autosostenendosi riproduttivamente nel nuovo areale.
In molti casi, una specie aliena che si adatta a un nuovo habitat ne altera l’equilibrio, ad esempio entrando in competizione con una o più specie autoctone. In alcuni casi, la specie alloctona prende il sopravvento su una o più specie originarie, portando le popolazioni autoctone persino all’estinzione. Uno dei frequenti motivi del vantaggio delle specie aliene su quelle autoctone è l’assenza di predatori e parassiti specifici che possano frenare la crescita di queste popolazioni.
Ad oggi sono migliaia le specie aliene introdotte pressoché in tutti gli ambienti del mondo, spesso con risultati di considerevole impatto ambientale ed economico. In Europa si stima che siano presenti oltre 13mila specie aliene e che oltre 1300 di queste causino impatti negativi sull’ambiente.
Alieni in Italia
L’Italia è uno dei paesi Europei maggiormente colpiti dalle invasioni biologiche, grazie anche alle favorevoli condizioni climatiche. In Italia continentale sono presenti più di 1500 specie alloctone. Da aggiungersi alle oltre 250 presenti in Sicilia e alle 300 in Sardegna. Di queste specie, 120 sono marine, 97 sono di acque dolci e ben 900 sono terrestri. Il loro numero è aumentato del 96% in 30 anni.
Tra gli alloctoni più noti e devastanti per l’agricoltura italiana ci sono: il punteruolo rosso, un coleottero originario dell’Asia, micidiale parassita di molte specie di palme. La cimice asiatica, un insetto infestante altamente polifago che può causare danni estesi alla frutticoltura. La tristemente nota Xylella Fastidiosa, un batterio altamente polifago all’origine del disseccamento rapido dell’olivo.
Surriscaldamento climatico?
La principale causa di questa devastante invasione non è l’innalzamento delle temperature. Questa, spiega Bazzana, non favorisce l’arrivo delle specie invasive in Italia. Ma contribuisce alla loro sopravvivenza, soprattutto se si tratta di specie che provengono da Paesi molto caldi come l’Africa.
Chi è allora il vero responsabile di questa proliferazione? “La globalizzazione“, aggiunge Bazzana. “Con lo spostamenti di uomini e merci dall’Asia e dall’Africa entrano in Europa e in Italia anche degli ospiti non graditi. Così è arrivata in Italia la cimice asiatica e tanti altri insetti che una volta giunti qui da ‘clandestini’, non trovano nessun nemico naturale e proliferano in breve tempo”.
L’impatto economico
Questo fenomeno rappresenta una delle maggiori minacce globali alla biodiversità, con un impatto economico e sociale sempre più rilevante: nella sola Unione Europea si stima che gli impatti causati da queste specie determinino perdite superiori ai 12 miliardi di euro.
Chiudere le frontiere?
Come difendersi dunque da questi piccoli intrusi? “Attraverso costanti e scrupolosi controlli alle frontiere e con la ‘messa in quarantena’ di tutte le merci – deperibili e non – che arrivano dagli altri continenti”, evidenzia Bazzana. “Non ci sono altre strade: bisogna importare il modello Australia dove nei porti e negli aeroporti i controlli sono strettissimi e coprono il 100% delle merci e delle persone che entrano nel continente insulare”.
L’Australia non è nuova a problematiche di tutela biologica. Non poche delle specie autoctone australiane si sono estinte o hanno ridotto fortemente il loro numero a causa degli animali importati dai colonizzatori nell’800 e nel ‘900. Storica fu l’invasione dei conigli. Ne entrarono 13 esemplari insieme a dei coloni. L’impatto con le specie autoctone fu devastante. I nuovi arrivati non trovarono predatori naturali competitivi e si svilupparono in maniera esponenziale. Introdotti il 25 dicembre 1859, si riprodussero così velocemente che negli anni ’50 ce ne erano un miliardo di capi. Anche il rozzo tentativo di introdurre la volpe, suo predatore naturale, non migliorò, anzi peggiorò la situazione in quanto essa si rivolse a prede più facili di quanto non fosse il coniglio.
Predatori naturali
“Non sempre è possibile contenere le specie aliene portando i loro predatori naturali dall’estero all’Europa. Questo perché – come nel caso delle volpi in Australia – l’arrivo di un competitor (magari di grosse dimensioni) procurerebbe più danni che benefici“. L’unico modo è dunque il controllo accurato alle frontiere e la quarantena delle merci.
Pesticidi sì o no?
Sia l’uso di sostanze chimiche sia lo studio di nuove molecole che possano uccidere gli insetti alieni non sono appoggiate dalla Comunità Europea, che sta battendo molto sul biologico. Però, non ricorrere a queste sostanze, equivale a lasciare proliferare le specie aliene invasive che – presto o tardi – distruggeranno il raccolto, come sta accadendo per gli oliveti in Puglia.
Xylella
“Da quando è stata confermata la presenza della Xylella fastidiosa a Lecce, la produzione di olio ha subito un trend negativo irreversibile, con il minimo storico di 5.295 tonnellate prodotte nell’ultima campagna 2018/2019” Lo denunciava già lo scorso anno il presidente di Coldiretti Puglia, Savino Muraglia. “L’avanzata della malattia ha lasciato milioni di ulivi secchi dietro di sé, come rappresentato dalla perdita produttiva che si è allargata a macchia d’olio, man mano che la Xylella ‘camminava’ indisturbata sul territorio. Il contagio in 6 anni inesorabilmente si è spostato a nord ad una velocità di più di 2 chilometri al mese”.
“Senza una soluzione adeguata al problema, come il reimpianto di olivi più resistenti al batterio, a breve dovremmo importare l’olio dalla Tunisia o da altri Paesi esteri. Dove, tra l’altro, le restrizioni contro l”uso dei pesticidi non ci sono e i prodotti non sono ‘bio'”.
Il paradosso Ue
Senza alcune molecole chimiche, la battaglia contro le specie aliene invasive è già persa in partenza; e – con essa – la produzione di molte specialità enogastronomiche che fanno grande il nostro Paese anche all’estero.
“Se il Governo e la Ue non correranno ai ripari, rileva in conclusione Bazzana, nel giro di qualche anno le nostre eccellenze ortofrutticole potrebbero andare perse. E gli italiani sarebbero paradossalmente costretti ad acquistare frutta e verdura da altri continenti con un notevole aumento della spesa pro capite e potenziali danni alla salute”.