Fondamento della democrazia e “cane da guardia del potere”, la libertà di stampa viene celebrata oggi nella trentesima edizione della giornata mondiale dedicatale, promossa dall’Unesco, l’ufficio delle Nazioni unite specializzato nella promozione della cultura, della scienza e dell’informazione. Un appuntamento anche per ricordare le 1.592 vite spezzate di giornalisti e operatori dell’informazione in questi decenni, 12 solo nei primi mesi del 2023. L’ultimo è Eduardo Fernando Mendizabal Gálvez, ucciso a Città del Guatemala, capitale dell’omonimo stato centroamericano, il 18 marzo scorso.
Il diritto
La libertà di stampa discende direttamente dalla libertà di espressione, un diritto sancito ormai a tanti livelli – eppure sempre insidiato da minacce più o meno esplicite e invasive. L’articolo 21 della Costituzione italiana recita che “tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”. Secondo l’articolo 19 della Dichiarazione universale dei diritti umani “ogni individuo ha diritto alla libertà di opinione e di espressione, incluso il diritto di (…) cercare, ricevere e diffondere informazioni e idee attraverso ogni mezzo e senza riguardo a frontiere”. La Carta europea dei diritti fondamentali sancisce, ai commi 1 e due dell’articolo 11, rispettivamente, che “ogni individuo ha diritto alla libertà di espressione. Tale diritto include la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee senza che vi possa essere ingerenza da parte delle autorità pubbliche e senza limiti di frontiera” e che “la libertà dei media e il loro pluralismo sono rispettati”.
L’intervista
In occasione della Giornata mondiale della libertà di stampa del 3 maggio 2023, Interris.it ha intervistato il presidente dell’associazione Ossigeno per l’informazione Alberto Spampinato, per un bilancio delle conquiste raggiunte in termini di libertà di stampa in queste ultime tre decadi e per mettere a fuoco i pericoli che la minacciano e gli ostacoli che le vengono piazzati lungo il percorso.
Presidente, sono passati trent’anni dalla prima edizione di questa giornata mondiale. In questi decenni abbiamo raggiunto più o meno libertà di stampa?
“E’ difficile dirlo con esattezza matematica perché non esistono veri parametri per misurare la quantità e il grado di libertà di stampa. Fino a tre decenni fa a livello mondiale si parlava molto più superficialmente di violazioni, intimidazioni e minacce per impedire la circolazione di notizie vere solo perché erano sgradite. Dal 1993 l’Unesco ha cominciato a parlare non solo dei giornalisti uccisi ma di quelli minacciati e quest’impegno ha conosciuto un’accelerazione nel 2009, dopo la strage avvenuta nelle Filippine in cui vennero uccisi, in una volta sola, una trentina di giornalisti. Da quella data viene fatto un lavoro più sistematico, con l’aggiornamento dei giornalisti uccisi nei vari Paesi e l’analisi di casi. Quelle che emerge che è che circa l’80-90% di questi non sono dei corrispondenti in zone di guerra, ma principalmente cronisti di Paesi in pace che davano notizie per qualcuno scomode. Bisogna considerare poi che per ogni giornalista ucciso, ci sono molti più giornalisti minacciati o che subiscono violenze ‘non fatali’, che sono purtroppo degli efficaci bavagli. E’ aumentato nel mondo il numero di giornalisti che non denunciano, anche se c’è più attenzione al problema non si fa abbastanza. Uno studio dell’Unesco di fine 2022 ci diceva che il giornalismo non sta bene di salute”.
Scopo della vostra associazione è di monitorare le intimidazioni e la azioni contro i giornalisti nel nostro Paese, insieme a tenere viva la memoria dei giornalisti uccisi: ci può illustrare le attività di Ossigeno?
“Siamo un’associazione di volontariato con un osservatorio indipendente che raccoglie i dati sulle minacce contro gli operatori dell’informazione. In Italia sono quasi settemila i giornalisti minacciati e da quando abbiamo cominciato, nel 2007, abbiamo dimostrato che si possono documentare rigorosamente le intimidazioni e le azioni contro i giornalisti nel nostro Paese. Abbiamo collaborato anche con altre associazioni e istituzioni internazionali, ma non abbiamo trovato nessuno che faccia un’osservazione rigorosa e continuativa come facciamo noi. Inoltre, fin dalla sua nascita, la nostra associazione coltiva la memoria dei giornalisti uccisi in Italia. Nella storia di ognuno di loro risiede la dimostrazione che questo tipo di minacce colpiscono quei giornalisti che osservano rigorosamente il dovere deontologico di servire la verità, anche quando comporta di correre dei rischi, e mostrano il punto estremo a cui si può giungere per impedirgli di esercitare il loro diritto. Dalle pressioni velate ai condizionamenti sul luogo di lavoro, dalle intimidazioni alle minacce di azioni legali pretestuose fino al caso estremo dell’omicidio. Queste storie esemplari sono inoltre tenute in vita dai famigliari dei giornalisti uccisi, non sempre trovando appoggi pubblici. Si tratta di autentiche dimostrazioni di impegno civile”.
Che cosa rappresenta un ostacolo, una minaccia, un pericolo per i giornalisti mettendo a rischio la libertà di informazione? E come tutelare i primi e garantire la seconda?
“Ci sono vari tipi di limitazioni, come anche veri e propri reati quali le minacce e le intimidazioni. La più diffusa è l’accusa per diffamazione, anche se secondo le statistiche nove volte su dieci il giornalista viene assolto. Basta che qualcuno faccia una querela per diffamazione e anche se le accuse sono false il giornalista deve affrontare il processo, rimettendoci in tranquillità e soldi. Inoltre, per prudenza, il cronista potrebbe anche scegliere di non occuparsi più dell’argomento che gli viene contestato. Nel nostro Paese esistono già alcuni deterrenti, come il reato di calunnia e l’abuso del processo. Oltre a questi, Ossigeno chiede che vengano applicate quelle norme di legge che consentono di punire chi ricorre a querele strumentali. Come in Gran Bretagna, dove chi sporge una querela con una richiesta di risarcimento che poi risulta pretestuosa, infondata, viene condannato a versare metà della quota che aveva chiesto. Questi problemi non riguardano solo la difesa dei giornalisti, ma anche il diritto dei cittadini di ricevere le informazioni”.
Che impatto hanno avuto sulla libertà di stampa cambiamenti come la rivoluzione digitale e l’avvento dei social?
“Le minacce e le intimidazioni non sono diminuite. Se con Internet adesso possiamo comunicare e mettere in rete informazioni, idee e notizie, comunque quando si mette in circolazione qualcosa che tocca un potente o un criminale scattano le reazioni. Quando erano diffusi solo i giornali cartacei, i tempi di reazioni erano diversi, ora si è invece creata illusione che attraverso Internet si possa minacciare qualcuno impunemente. Sono convinto comunque che questa cosa col tempo cambierà, perché queste persone ora vengono perseguite per via giudiziaria”.