Allarme carceri, testimonianze e proposte oltre le sbarre. Secondo Giovanni Maria Flick il sovraffollamento è un problema che non si vuole risolvere”. E i detenuti “sono spostati come le mucche di Mussolini”. Il magistrato antimafia Bernardo Petralia dirige il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria. “A volte non dormo per quello che vedo. Acqua calda e water sono un lusso nelle carceri”, racconta Petralia. Gherardo Colombo, presidente della Cassa delle ammende, esorta a “uscire dalla legge del contrappasso”. E considera i giovani “più aperti al dialogo“.
Allarme carceri
Giustizia riparativa. Sovraffollamento. E riforme in tempo di pandemia. Questi i temi affrontati nel convegno in Università Lumsa per la presentazione del libro “Il carcere. Assetti istituzionali e organizzativi”. Per due volte l’Italia è stata condannata per il sovraffollamento delle carceri. “Nonostante questo tutto è rimasto come prima. Ciò ricorda quello che accadeva quando Mussolini andava in visita nel sud Italia. Come allora venivano spostate le mucche da una campagna all’altra. Così oggi si spostano i detenuti per non mostrare l’evidente problema di sovraffollamento”, sottolinea il professor Giovanni Maria Flick. Aggiunge il presidente emerito della Corte Costituzionale: “L’altra soluzione frequentemente proposta è la costruzione di nuove carceri. A prescindere dal tempo che questo richiederà. E a prescindere dal fatto che ridurre il carcere a mura e a spazi è un modo di concepire la pena che prima o poi finirà per affidarne la gestione ai geometri del catasto. E non ai giudici di sorveglianza”.
Istanze
Puntualizza il professor Flick: “Si è affermata la tendenza a ricorrere sempre più al diritto penale e al carcere. Accogliendo certe istanze molto demagogiche e molto populiste che fanno leva sulle reazioni e sull’aggressività delle persone. Per arrivare a teorizzare un carcere del quale non si conosce assolutamente il contenuto e la realtà”. Temi approfonditi nel libro “Il carcere. Assetti istituzionali e organizzativi” da Filippo Giordano, Carlo Salvato ed Edoardo Sangiovanni. Docenti e ricercatori di management delle università Lumsa e Bocconi. Un percorso di ricerca di quattro anni sulle carceri in Italia. Condotto attraverso interviste nei penitenziari milanesi di Bollate, Opera e San Vittore. Con l’obiettivo di indagare i fattori organizzativi che influenzano la capacità degli istituti di pena di perseguire il fine costituzionale.
Cambiamento di prospettiva
Tra gli interventi, anche quello di Gherardo Colombo, presidente Cassa delle ammende, Secondo il quale “i ragazzi sono tra i più aperti al dialogo”. Disposti a “rivedere le proprie posizioni sui temi di pene detentive e giustizia riparativa”. Afferma Colombo: “È necessario cambiare la prospettiva. E uscire dalla logica di legge del contrappasso. Sono quindici anni che porto il tema all’attenzione dell’opinione pubblica. E in questo periodo l’atteggiamento delle persone è profondamente cambiato. Inizialmente non si poteva neppure affrontare“. Le nuove generazioni sono “più disponibili a entrare nel dialogo“. Pur partendo generalmente da una certezza assoluta. Ossia che “è giusto punire chi ha commesso un reato“. Per questo, evidenzia Colombo, è “necessario affrontare continuamente il tema con la società civile. A partire proprio dalle scuole”.
Lavora solo un detenuto su tre
Bernardo Petralia, capo del Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria, evidenzia il ruolo del lavoro nel processo di recupero dei detenuti. “In Italia lavora solo il 34% dei detenuti– precisa-. Ma il lavoro non dipende solo dall’amministrazione penitenziaria. Che può offrirlo nei limiti e tra le mura del carcere. Bisogna estendere l’offerta che viene dall’esterno. Il lavoro, per i detenuti, è l’unico modo per attivare e stimolare nelle loro menti una vibrazione di libertà”. Parlando delle condizioni di vita nelle carceri, Petralia non nasconde il proprio coinvolgimento personale. Spiega: “Sono addolorato e intristito. Non posso dire di essere soddisfatto. Di aver raggiunto degli obiettivi. E nemmeno di vedere l’orizzonte degli obiettivi a stretto passo. Io visito due istituti a settimana. L’ho fatto anche nel periodo più funesto del Covid l’anno scorso. E delle volte ho difficoltà a dormire per quello che vedo. Detenuti che parlano di acqua calda e di un water come fossero lussi”.
Effetto Covid
“Il Covid dentro le mura carcerarie è la proiezione nel microcosmo di quello che accade nella società civile. E quindi in tutto il resto del Paese. Nella società libera– osserva il responsabile del Dap-. Possiamo aggiungere che per certi aspetti siamo già rodati. I numeri sono più alti rispetto allo scorso anno a causa della nuova variante. Ma il numero dei sintomatici e dei ricoverati è molto minore. Questo grazie anche a una vaccinazione di massa ottenuta con una sinergia complessa ma riuscita con l’autorità sanitaria. Forse non in tutte le regioni ma in gran parte. Abbiamo somministrato oltre 100 mila dosi ai detenuti. E questo ci ha concesso di avere un tasso di gravità molto contenuto che si estende anche al personale”.
Un suicidio ogni tre giorni
Inizio d’anno choc oltre le sbarre: un suicidio ogni tre giorni, numero dei detenuti in aumento. Mauro Palma, Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, denuncia “la criticità della situazione in questo avvio dell’anno” e segnala la “necessità di ritrovare un dialogo produttivo attorno al tema dell’esecuzione penale detentiva che sappia rispondere alla particolare difficoltà oggi vissuta negli istituti da parte di chi vi è ristretto e da parte di chi in essi opera quotidianamente“.
Situazione drammatica
“La situazione nelle carceri italiane peggiora- evidenzia l’Osservatorio Diritti-.Da una parte aumentano i suicidi. Dall’altra riprende a crescere il numero dei detenuti, calato nel 2020 per effetto della pandemia. Palma riassume la drammatica situazione relativa ai suicidi in prigione: “Ventiquattro diviso otto fa tre. Al 24 di gennaio i suicidi in carcere nell’anno sono stati otto: uno ogni tre giorni. È un dato che non può essere né sottovalutato né, tantomeno, ignorato”. Per Palma, “anche se è evidente che la decisione di porre fine alla propria vita si fonda su un insieme di fattori e di malesseri della persona e non può essere ricondotto solo al carcere, tuttavia, l’accelerazione che ha caratterizzato le prime tre settimane del 2022 non può non preoccupare e interrogare l’amministrazione che ha la responsabilità delle persone che sono a essa affidate”. Aggiunge il Garante dei detenuti: “Solo un dialogo largo, unito a provvedimenti che rispondano alla difficoltà dell’affollamento particolarmente accentuata in questa situazione pandemica, può indicare la via da percorrere per ridurre le tensioni, ridefinire un modello detentivo e inviare un segnale di svolta nel nostro sistema penitenziario“. Il numero dei suicidi negli istituti di pena italiani ha avuto una lieve diminuzione l’anno scorso. Nel 2021, infatti, secondo Ristretti Orizzonti sono stati 54 i detenuti che si sono tolti la vita in carcere. Nel 2020, secondo il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap), ci sono stati invece 61 suicidi.