“Mi sento di dire che in questo momento sono le famiglie che si stanno trasformando in centri di aiuto. Anche solo per la famiglia accanto”, spiega padre Alfredo Feretti, il direttore del “Centro La Famiglia” di Roma.
Emergenza famiglia
Si tratta del primo consultorio sorto nella città di Roma, fondato nel 1966 da padre Luciano Cupia degli Oblati di Maria Immacolata. Interris.it ha intervistato sul ruolo sociale della famiglia in pandemia, padre Feretti che collabora con diverse diocesi per le attività di pastorale familiare. Tra cui anche quella di Roma, per la quale ha scritto numerosi sussidi di spiritualità. E ha seguito le attività con i separati e i divorziati.
“La pandemia sta sbaragliando tutte le dighe di difesa che le famiglie avevano tirato su o che avevano a diposizione. Si trovano da sole a rispondere alle domande alle quali normalmente rispondevano altre agenzie educative. Come la scuola, lo sport, le associazioni, la chiesa. La sofferenza è sentirsi inadeguati e impotenti di fronte alle richieste di sicurezza che salgono dai più piccoli o dai più deboli”.
“Gli stessi adulti non hanno sviluppato a sufficienza quella resilienza e quella capacità di ‘stare in piedi’. Di navigare nella tempesta. E di vivere la crisi con l’umiltà di un combattente e con la sobrietà dei responsabili. Le sfaccettature delle sofferenze delle famiglie in questo tempo sono infinite”.
“Le sofferenze attuali delle famiglie vanno dal lato economico, a quello della salute. Da quello dell’educazione, a quello della cura. Da quello della solitudine e della debolezza delle relazioni, alla fragilità della fede. E all’inadeguatezza delle risposte da parte dello stato o delle organizzazioni sociali”.
“È l’assalto di una angoscia che non trova il volto del nemico da guardare e affrontare. E trasforma gli altri in nemici a cui dare la colpa o da allontanare. Ma devo dire anche che le famiglie hanno una capacità di recupero incredibile. E sono diventate la vera forza di questa pandemia. Dove tutto sembra venir meno, le famiglie sanno offrire ancora l’incredibile energia di coloro che non si rassegnano. Reinventandosi ogni giorno”.
“Qui tocchiamo un punto delicato e che mi sta molto a cuore perché legato alla mia vicenda personale e alle mie scelte di vita. Alle famiglie che hanno nel loro seno situazioni di disabilità è richiesto un supplemento d’anima, di pazienza e di creatività. Che le porta a investire tutte le loro energie nel rispondere alle esigenze di accudimento, di ‘animazione’, nel creare un clima sereno (a volte anche solo sopportabile) perché non venga meno la speranza”.
“In questo campo la solitudine nelle quale vengono lasciate le famiglie è scandalosa. Deve passare per un iter burocratico spesso non perseguibile anche solo la richiesta di aiuto per una didattica personalizzata a domicilio. Per un sollievo attraverso la presenza di un operatore che si prenda cura per qualche ora di un bambino o di un adolescente disabile”.
“Dipende se si è stati lungimiranti oppure no. L’attitudine alla solidarietà o, meglio ancora, all’amicizia non si improvvisa. Se una famiglia ha coltivato relazioni belle, buone, amicali, solidali, nel momento della crisi può beneficiare della gioia del dono della rete che ha costruito, altrimenti raccoglie il frutto dell’isolamento e dell’egoismo. È vero che i tempi di grandi crisi favoriscono anche i sentimenti migliori. Ma a me sembra che non si cambi con la paura o sotto lo stimolo del bisogno”.
“Qui si raccoglie quello che si è seminato. Assisto con meraviglia al miracolo della ‘moltiplicazione del tempo’. Famiglie che, piene di affanno per i propri cari, trovano il tempo (che sembrano non avere) per farsi carico dei figli degli amici. Per far compagnia ad un anziano allettato o semplicemente per bere qualcosa insieme e condividere la stanchezza. Il distanziamento, quando c’è l’amicizia, viene superato nella grande prudenza, ma anche nella grande generosità”.
“are la lista dei disagi sarebbe lungo e potrebbe sembrare una litania lamentosa e ripetitiva perché tocca tutti gli aspetti vitali. Molti vengono a chiedere ‘brutalmente’ un sussidio per vivere. E sto parlando di persone adulte, a volte anziane che necessitano dell’essenziale. È l’umiliazione che si legge sul loro volto che più ti tocca il cuore. Potrei essere io al suo posto ma se ho la fortuna di avere il necessario perché non condividerlo?”.
“Le modalità della condivisione con i poveri hanno subito un forte cambiamento di stile per adeguarsi al problema sanitario. Sta di fatto che i poveri sono ancora più soli e più soggetti all’attacco della paura e della solitudine. C’è una creatività spicciola enorme che non è venuta meno. La testimonianza è visibile”.
“Sembrerà banale ma (ed è successo ieri sera) se un persona è positiva al coronavirus, chi può portarle da mangiare davanti alla porta? Chi chiama e attende l’ambulanza per ore all’ingresso? Chi da lontano sorride e le dice: ‘non ti preoccupare per la tua casa, ci rivediamo presto!’? Grazie alle famiglie”.