Volontariato, un’attività che richiede formazione e responsabilità

Vidas

A sinistra la dottoressa Roberta Brugnoli. Foto: Vidas

La vita, anche quanto sembra essere arrivata al capolinea, va valorizzata. Ogni suo istante infatti, fa parte del percorso dell’uomo e per questo va rispettato. Quando si parla di fin di vita, sono i volontari a giocare un ruolo significativo. Loro, con tanta dedizione, dedicano del tempo prezioso a chi di tempo ne ha oramai ben poco e il loro contributo è di aiuto anche per l’intera famiglia della persona malata.

VIDAS

Nell’ultimo anno VIDAS ha offerto assistenza ad oltre 2.100 malati fragili, bambini e adulti, e inguaribili a Milano, Monza e in 112 comuni dell’hinterland. Lo ha fatto garantendo cure palliative attraverso il lavoro del personale sanitario e il prezioso sostegno dei tanti volontari, che ad oggi sono circa un centinaio. Quest’ultimi, cuore pulsante dell’associazione, offrono il proprio supporto sia alle persone malate sia ai familiari, che in loro trovano sostegno e conforto.

L’intervista

Interris.it ha affrontato questo importante tema con la dottoressa Roberta Brugnoli, responsabile della formazione dei volontari di VIDAS, il cui nome sta per Volontari Italiani Domiciliari per l’Assistenza ai Sofferenti.

Dottoressa Brugnoli, chi è il volontario Vidas?

“Una figura che ha un ruolo molto importante e il suo inserimento non può essere improvvisato. Io lo definisco un volontariato professionalizzato, in quando dopo una selezione iniziale, viene rigorosamente preparato con un corso di formazione. Durante questo periodo, l’aspirante volontario affronta tutte le tematiche di carattere medico-assistenziale, psicologico e inerenti al fine vita. Il percorso formativo è rivolto a tutti gli uomini e donne dai 16 anni in su che abbiano un’attitudine alla relazione con l’altro e che abbiano maturato la volontà di dedicarsi a questo impegno con una certa regolarità e responsabilità”.

Quale è la peculiarità del volontario di Vidas?

“Sicuramente l’attitudine all’ascolto di sé e dell’altro e la capacità di lavorare in équipe con altri professionisti. Ne deriva un volontario che non opera mai in modo autonomo, improvvisando il proprio lavoro, ma una persona formata, che tiene sempre a mente il percorso assistenziale. Il volontario che formiamo è una persona capace di dialogare con gli operatori, che rispetta tutti i componenti della squadra in cui è inserito e che dopo aver interpretato i bisogni del malato e della famiglia, fornisce il proprio contributo”

Come fa un volontario ad entrare in una situazione di sofferenza, senza caricarsene eccessivamente?

“Questo passaggio non è né facile, né ovvio. Innanzitutto, molto dipende dal carattere del singolo. Ci sono alcune persone che sono più consapevoli e capaci di non affrontare con troppa ansia quanto stanno vivendo, altre invece, che faticano maggiormente a farlo. Noi di Vidas conosciamo questo aspetto e supportiamo i nostri volontari tramite una formazione continua che ha l’obiettivo di aiutarli a diventare pienamente consapevoli di come ci si deve porre nei confronti dell’altro e della sua sofferenza”.

Questo percorso quanto aiuta alla piena conoscenza di se stessi?

“Molto, perché venendo in contatto con determinate situazioni una persona può riconoscere i propri limiti e le proprie risorse. Si tratta di un viaggio dentro se stessi che, al più delle volte, apre scenari, sino a quel momento, sconosciuti. Sono convita che diventare volontari Vidas sia dunque una grande opportunità anche per i più giovani che hanno la possibilità di toccare con mano un’umanità vera, senza flirti e infrastrutture, che invece, con difficoltà si può trovare nella nostra società di oggi”.

Elena Padovan: