Gli abitanti di Betlemme vivono rinchiusi nella loro città. Nelle ultime settimane infatti, è stata tolta loro la libertà di varcare, anche per motivi di lavoro, i confini della Palestina. Qui l’economia è principalmente basata sul turismo religioso e ora che non ci sono pellegrini è al collasso. La gente ha paura e ogni mattina si sveglia con la speranza di un ritorno alla normalità che però tarda ad arrivare.
L’intervista
Interris.it ha intervistato Issa Sakleh, guida turistica, palestinese cattolico, nato e cresciuto a Betlemme. Qui vive con la sua famiglia e anche lui, come i tanti suoi concittadini, è preoccupato per il futuro, sopratutto dei figli.
Issa, come state?
“Siamo molto angosciati perché le notizie che ogni giorno ci arrivano non sono promettenti. La prima sensazione è lo sgomento per il divagare a macchia l’olio di un sentimento di odio troppo grande e il pensiero va a tutte le persone innocenti che hanno perso la vita. La seconda è la preoccupazione per il nostro futuro, qui a Betlemme il 70% della popolazione vive di turismo e ora che i pellegrini non ci sono, la povertà è dietro all’angolo”.
Il restante 30% riesce a lavorare?
“Solo in parte perché la maggior parte di questi lavorano a Gerusalemme che è a circa 9 chilometri. Ad oggi però i check-point sono chiusi e senza permesso speciale, rilasciato dallo stato di Israele, non si possono varcare i confini della Palestina. Io lavoro anche alla Custodia di Terra Santa a Gerusalemme e con tanta fatica ho ottenuto questo lasciapassare. Mia moglie invece, non ce l’ha e dunque deve rimanere sempre a Betlemme”.
Tu palestinese a Betlemme ti senti mai a disagio o in pericolo?
“Sì e anche quando cammino non sono tranquillo. In qualsiasi momento la polizia mi potrebbe fermare per chiedermi i documenti e per giustificare la mia presenza in città . Inoltre, non mi sento sicuro perché si sente spesso di violenti scontri ingiustificati”.
A voi guide turistiche il futuro preoccupa?
“Tutti si auspicano il ritorno alla normalità, ma sono convinto che anche questo accadrà non sarà per nulla facile tornare a fare come prima il nostro lavoro. Molti di noi palestinesi si pongono il problema di come potremmo riprendere a recarsi in Israele per una visita con i pellegrini o semplicemente per prenderli o accompagnarli all’aeroporto di Tel Aviv senza avere problemi”.
Tu hai due figli, pensi mai al loro futuro?
“È il mio pensiero fisso. Ne abbiamo passate tante, ma mai come ora sto pensando che la cosa migliore è trasferirci altrove, in una terra in cui non ci sia questa violenza distruttiva. Mi rammarica ammettere ciò, perché amo questi luoghi dove sono nato e dove con tanto amore ho costruito la mia famiglia, ma ho il dovere di donare ai miei figli un futuro senza guerra”.
I tuoi bambini hanno paura?
“Fortunatamente loro sono ancora molto piccoli e per cui non capiscono fino in fondo che cosa sta accadendo. Noi cerchiamo di tutelarli il più possibile e per esempio evitiamo di guardare il telegiornale quando loro sono con noi. Purtroppo non è facile condurre una vita come se non fosse successo nulla, ma ce la mettiamo tutta per trasmettere loro la serenità e la pace”.