Le polemiche suscitate dall'articolo, a firma di Vittorio Feltri, sullo scrittore Andrea Camilleri sono l'ultima provocazione offensiva al mondo dell'informazione. Con piglio asciutto, come si addice solo ai napoletani “veraci”, Carlo Verna, Presidente dell'Ordine dei Giornalisti, ne ha parlato con In Terris, cogliendo l'occasione per fare il punto sullo stato del giornalismo italiano alla luce delle sfide che lo attendono, tra digitale e rilevanza sociale delle intercettazioni.
Presidente, il caso Feltri e la susseguente lettera inviatale dai giornalisti Ruotolo e Borrometi hanno acceso i riflettori sull’Ordine dei giornalisti. Quali conseguenze avrà questa vicenda?
“Già in passato, alcuni titoli apparsi su Libero hanno scatenato polemiche analoghe e, anche in quei casi, l’Ordine ha fatto le opportune segnalazioni ai Consigli di disciplina. Occorre, tuttavia, precisare che Vittorio Feltri è il direttore editoriale, pertanto le segnalazioni sono state fatte a carico di Pietro Senaldi, che del quotidiano è il direttore responsabile. Per la funzione del ruolo che ricopro, parlo di segnalazioni, non di sanzioni, perché è il Consiglio di disciplina a dover dire se questo comportamento sia contro le regole della professione, non io. È come se io fossi, per dire, un politico o un parlamentare e dicessi che il giudice deve condannare: il giudice è libero nella sua valutazione, secondo quanto prevede la Legge Severino del 2012. Si tratta di una scelta che è fatta dal nostro legislatore, che esige rispetto e fiducia deontologica. Se, invece, vuole un mio parere da lettore, non da giudice, posso dire di essere indignato”.
Secondo lei, episodi come questi mettono a repentaglio la credibilità della professione?
“Come ho già specificato, l’Ordine dei giornalisti non è un club, ma un ente pubblico, che ha regole dettate dalle legislature che consentono di sanzionare chi viola le norme. In ogni professione capita che vi sia qualcuno che conttravviene alle regole e, quando questo accade, esistono tutti gli strumenti per sanzionare chi lo ha fatto. Oggi, inoltre, il giornalismo non è fatto solo da giornali, radio e tv, ma anche dalle piattaforme digitali: questo significa che il numero di professionisti del settore è aumentato”.
Ci sono proposte che il Consiglio Nazionale dell’Ordine intende avanzare in futuro?
“In primo luogo, l’Ordine intende riformare l’accesso alla professione. Rispetto a prima, oggi sono diminuiti i luoghi di formazione, per cui riteniamo che sia importante rivedere il sistema dei saperi propri di questa professione. In secondo luogo, quando si parla di modifiche inerenti i Consigli di disciplina, va ricordato che ciò non è una prerogativa dell’Ordine dei giornalisti, ma riguarda tutti gli ordini professionali. Personalmente, ritengo che l’Ordine dei giornalisti sia peculiare: nel nostro caso, le vicende sono spesso sotto i riflettori dell’opinione pubblica, per cui ritengo necessario che il legislatore dia particolare attenzione. Quello che l’Ordine oggi può fare è, previo confronto con gli altri ordini professionali, chiedere una strada un po’ più specifica per ciò che concerne la nostra professione”.
Oggi, alla presenza dei ministri Bonafede e Bongiorno, è stato presente al tavolo che disciplinerà la pubblicazione e diffusione delle intercettazioni. Cosa si aspetta prossimamente?
“Si tratta della prima volta che vengo convocato a questo tavolo e ringrazio il governo per aver avuto quest’attenzione. Quale rappresentante dell’Ordine, porterò al tavolo una riflessione sul concetto di rilevanza sociale della notizia, poiché c’è un interesse pubblico della stessa che va al di là della rilevanza penale. È vero che molti comportamenti riprovevoli dal punto di vista sociale sono propedeutici a violazioni di tipo penale, ma i cittadini hanno il dovere di esserne informati. È, tuttavia, necessario fare ulteriori distinguo: nel caso del gossip, per esempio, siamo pronti ad avanzare proposte per sanzionare chi utilizza le informazioni che scaturiscono dalle indagini per raccontare qualcosa che suscita solo morbosità, ma che non è interesse dei cittadini”.
È indubbio che la carta stampata oggi sia in crisi. Qual futuro l’attende?
“La risposta a questa domanda è complessa, perché bisognerà vedere come si assesterà il mondo complessivo dell’informazione davanti a una continua trasformazione e moltiplicazione dell’offerta editoriale. A fronte di un aumento delle testate, però, sono diminuiti i rapporti di lavoro dei giornalisti, stando a quanto emerge dai dati del nostro istituto di previdenza. Grazie all’articolo 21 della Costituzione, la carta stampata gode del supporto dello Stato. Io penso che la stampa resti un bene culturale, non può essere trattata come un dinosauro condannato all’estinzione. Col tempo, è indubbio che bisognerà valorizzare queste piattaforme digitali veloci, seguendo le opportunità che il web ci ha dato. D’altronde, occorre metabolizzare la perdita di una prerogativa della nostra categoria: oggi il giornalista non è più il solo a parlare a tanti, siamo in quella che io chiamo la 'socialcrazia' e questo ha delle evidenti ripercussioni sulla nostra professione.