L'utero in affitto è reato in Italia. In qualsiasi caso. Lo ha decretato la sesta sezione penale della Corte di cassazione (con la sentenza n. 2173, depositata lo scorso 17 gennaio), condannando una coppia e anche la madre naturale per il reato di “affidamento a terzi di un minore”, in violazione dell'articolo 71 della legge 184/1983, intitolata “Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori”. Questo perché, secondo quanto stabilito dalla normativa, la pratica costituisce reato anche nel caso la madre “naturale” non percepisce nulla. Il tutto è collegato a una sentenza della Corte d'appello di Napoli, con la quale era stata confermata la condanna in primo grado di tre imputati, rei di aver “partecipato a un accordo con cui un ginecologo, dietro corrispettivo di una somma di danaro, pattuita in 30mila euro”, aveva promesso l'affidamento di un neonato a una coppia, nonostante questo fosse stato partorito da un'altra donna. Vi erano stati perciò dei ricorsi in Cassazione, tra i quali quello della madre naturale che chiedeva l'annullamento della sua condanna sostenendo di non aver avuto nulla in cambio della prestazione.
Il caso
La sentenza, perciò, conferma che la ricordata legge 184/1983 in Italia vieta qualunque pratica di utero in affitto, ribadisce che la mancanza di un compenso economico alla donna che “presta” il suo utero non “cancella” il reato, e sottolinea che è prevista un'aggravante nel caso in cui l’affidamento illecito di un figlio a terzi sia commesso da un genitore naturale. La sentenza, inoltre, ha ricordato che il delitto è punito dall'articolo 71 della norma sulle adozioni e, per essere effettivo, “non richiede, per colui che affida il minore, la previsione di un compenso economico come corrispettivo della consegna del minore stesso”. Inoltre, hanno specificato i giudici, “l'articolo 71, comma 1, della legge 184/1983 punisce con la reclusione da uno a tre anni, chiunque, in violazione delle norme di legge in materia di adozione, affida a terzi con carattere definivo un minore, ovvero lo avvia all'estero perché sia definitivamente affidato, senza ulteriori condizioni ai fini della integrazione del reato”.