Avere figli o lavorare? L’annoso bivio si presenta dinnanzi al percorso di ogni donna lavoratrice – puntuale – quando l’orologio biologico suona la sveglia. In molte scelgono di seguire la vocazione materna ed abbandonare il lavoro: nel 2018 su 29.879 donne che hanno lasciato l’occupazione, 24.618 lo hanno fatto per la difficoltà di conciliare la cura dei figli e il lavoro stesso. Ma che il mondo del lavoro, in Italia, abbia un rapporto complicato con la famiglia lo si evince anche dalla penuria di politiche che incoraggino i giovani, maschi e femmine, a mettere al mondo figli senza troppe angustie economiche. Un’aria diversa si respira a Zanè, nel Vicentino, dove dal 1784 esiste un’azienda, la Brazzale, che produce e commercia formaggi: è la più antica d’Italia. Da due anni, su iniziativa del patron Roberto Brazzale, avvocato 56enne e padre di tre figli, ognuno dei 650 dipendenti (parte in Veneto e parte a Litovel, nella Repubblica Ceca) che genera un bambino, riceve una mensilità media netta in più per far fronte alle spese. Unica condizione: essere dipendenti da almeno due anni, periodo che può completarsi anche successivamente alla nascita del piccolo. E i risultati? L’iniziativa pro-famiglia è un bene per tutti: azienda e dipendenti. Intervistato da In Terris, Brazzale spiega perché.
Avv. Brazzale, come è nata l’idea di premiare i dipendenti che fanno figli?
“Pensavamo da tempo a qualche misura che agevolasse i giovani genitori, la categoria sociale più bistrattata. La goccia che fece traboccare il vaso si ebbe quando una nostra collaboratrice venne a comunicarmi la sua prima gravidanza: lo fece come se confessasse una colpa o una malattia. Ci rendemmo conto del punto vergognoso in cui la nostra società è caduta se una mamma vive la meraviglia della maternità con tale angoscia indotta da una cultura diffusa”.
Nel 2017 ha introdotto la misura della mensilità in più per i neo-genitori: a due anni di distanza possiamo in qualche modo fare un bilancio?
“Molto positivo. Ha portato un clima gioioso attorno ai neogenitori che hanno capito di essere al centro di tutte le attenzioni. È un importante messaggio simbolico diretto anche a tutti i loro colleghi. Complessivamente festeggiamo dalle 35 alle 40 nascite all’anno. E abbiamo iniziato a inviare ai nostri dipendenti telegrammi di felicitazioni per le nascite, non solo condoglianze per i lutti”.
State lavorando su altri progetti pro-famiglia in azienda?
“Sì, ma preferisco mantenere il riserbo in ordine a questo progetto fino a quando non avremo superato le mille difficoltà che vi frappongono le leggi fiscali, previdenziali e giuslavoristiche”.
Su questi temi ha imparato qualcosa dalla sua esperienza in Repubblica Ceca?
“È stata un‘esperienza illuminante. In quel Paese, così come in altri centro-europei, esiste fin dai tempi del comunismo il congedo parentale lungo, fino a tre anni, a favore indifferentemente del papà o della mamma, con la conservazione del posto di lavoro. Come datori di lavoro di 350 dipendenti, tra i quali la metà donne giovani, abbiamo toccato con mano la assoluta praticabilità di questa misura che produce straordinari effetti positivi”.
Si parla spesso di nidi aziendali. Avete mai preso in considerazione questa ipotesi? Cosa pensa dei bonus per gli asili nido?
“Gli asili sono un male minore, non sono certo la soluzione, che è quella di lasciare più a lungo possibile il bambino assieme alla sua mamma. Mettere al mondo un bambino e poi lasciarlo ad altri per molte ore è comunque un trauma, una pratica innaturale e spesso dolorosa. Capisco che la soluzione degli asili possa piacere molto al sindacato perché genera spesa pubblica e posti di lavoro, Pil, ma dovrebbe rimanere confinata come residuale, per i bambini più grandicelli e per i genitori che scelgono di non rimanere a casa per un congedo parentale lungo”.
Quali interventi consiglierebbe al governo italiano sul fronte delle politiche familiari?
“Semplice ed efficacissimo: introdurre la stessa legislazione in uso da decenni nei più sensibili Paesi europei, come la Repubblica Ceca: il congedo parentale fino a tre anni. A scuola si copia dai più bravi, perché in politica non è così? Ovvio che tale scelta rivoluzionerebbe le priorità sia per lo Stato che per i sindacati, ma rivoluzionerebbe in positivo anche la concezione della maternità tra i giovani. Si creerebbe una fascia sociale oggi inesistente, quella delle giovani madri con bambino, che in quei Paesi arricchisce la vita quotidiana delle città e rappresenta un meraviglioso spot a favore della filiazione per i più giovani. Le imprese si adeguano e lo Stato potrebbe ben recuperare da altre voci di spesa oggi ipertrofiche – come le pensioni – le necessarie risorse per una politica di sussidio alle mamme ed alle imprese, specie a quelle piccole che sono la ricchezza del Paese ma tendono a soffrire maggiormente le assenze per congedo parentale”.
Primo maggio: è davvero festa se per avere un lavoro si è costretti a rinunciare ai figli?
“No di certo, e non lo è nemmeno la Festa della Mamma né quella del Papà. Dobbiamo smetterla di tergiversare con misure striminzite ed inconcludenti, dobbiamo ridefinire le priorità di questa società gerontocratica, in cui gli adulti e gli anziani egoisti stanno soffocando il processo di rinnovo generazionale. Viviamo in una dittatura senile. Oggi, in Italia, ogni tre morti ci sono soltanto due nuovi nati. Un rapporto numerico agghiacciante che scandisce il più triste declino immaginabile per la nostra comunità. È il momento di fare sul serio, ancor di più se pensiamo che l‘ultimo governo non ha fatto quasi nulla per le nascite, ma ha innalzato come un trofeo lo sforamento dei limiti di bilancio per garantire ad adulti ed anziani l‘ennesimo beneficio, il reddito di cittadinanza e quota cento”.