Il vero altruismo nasce dalla volontà di donare una parte di se stessi agli altri. C’è chi viene portatp dalla vocazione in un luogo diverso da quello di origine, a contatto con persone che vivono situazioni di profonda sofferenza. Si tratta di percorsi forti, che cambiano la vita di chi li compie e diventano altrettanto fondamentali per chi ne beneficia i frutti.
L’intervista
Interris.it ha raggiunto telefonicamente Simona Guarini, ventisei anni, triestina di nascita, ma cresciuta in Puglia che da due mesi si trova in Giordiana dove partecipa al progetto sperimentale Corpi civili di pace, organizzato del Dipartimento per le politiche giovanili e il servizio civile universale.
Simona, tu di cosa ti occupi?
“Io sono qui con Caritas Italiana e affianco Caritas Jordan in tutti i servizi offerti ai rifugiati, ai richiedenti asilo e ai giordani vulnerabili. La maggior parte delle persone che vengono da fuori sono siriani, iracheni, yemeniti, somali e sudanesi. Si tratta prevalentemente di attività di assistenza sanitaria, accesso ai medicinali, tra cui anche salvavita, che in Giordania sono a pagamento, e di supporto psicosociale. Nel caso dei siriani, a loro è permesso lavorare, ma per tutti coloro a cui non è consentito, talvolta anche siriani, si interviene con un’assistenza di tipo economico”.
Con che occhi guardi le persone che aiuti?
“Si tratta di esseri umani che troppo spesso sono trattati come semplici numeri. È importante comprendere che si tratta di persone con delle emozioni, con dei truami e con dei bisogni, tanti quanti ne abbiano noi che abbiamo avuto la fortuna di nascere in un luogo sicuro che ci ha garantito il privilegio di poter vivere senza dover per forza scappare”.
La loro vita in Giordania cambia?
“Come spesso accade a chi deve lasciare la propria terra, l’approdo in un Paese considerato sicuro non è la fine delle proprie preoccupazioni. Capita infatti, che la realtà in cui si ritrovano non è quella immaginata e da subito si presentano altri problemi, nuove sfide, come per esempio quelle legate all’assistenza sanitaria e all’iscrizione dei bambini a scuola. Inoltre, soprattutto in contesti in cui la stratificazione economica è molto netta e parte della popolazione locale vive sotto la soglia di povertà, si innescano forme di discriminazione che portano a una guerra tra poveri”.
Che cosa spinge una ragazza della tua età a fare questo tipo di esperienza?
“Faccio molta fatica a rispondere a questa domanda perché si tratta davvero di una spinta che arriva da dentro e che non è semplice spiegare a parole. Io non mi vedrei in questo momento e nemmeno nel mio futuro a fare qualcosa che non sia quello che sto facendo ora. Penso che scelte del genere nascono da una vocazione e nel mio caso è stata probabilmente alimentata da tanta curiosità di vedere e di comprendere non attraverso la narrazione, ma attraverso il mio sguardo, cosa accade a delle persone che hanno vissuto ciò che per noi occidentali è inimmaginabile”.
La Giordania confina con lo Stato di Israele e parte degli abitanti è palestinese. Come vive la gente il conflitto in corso?
“Si tratta di una questione molto sentita. Camminando per Amman si possono vedere degli adesivi nei lampioni, nelle vetrine dei negozi e dei volantini che riportano alla causa palestinesi e sono anche organizzate alcune manifestazioni, ma sempre pacifiche. Prima di partire avevo qualche preoccupazione, ma sinceramente qui in Giordania non c’è alcun motivo per aver paura”.