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Una fondazione, un premio, un sito: il 22 dicembre nel nome di don Oreste Benzi

Una delle tante cose fondamentali che ha fatto don Oreste nella vita è stata la lotta per l’abolizione della leva obbligatoria. Ha rischiato di mandarci tutti in prigione!”. Così inizia il racconto della giornalista Paola Severini Melograni, moderatrice dell’incontro che si è tenuto al palacongressi di Rimini per presentare la neonata fondazione don Oreste Benzi. “Oltre a questo, sono tanti e incredibili gli avvenimenti a cui ho assistito che lo vedono come protagonista – continua la giornalista -. Una volta arrivò in Parlamento, si sedette al posto del presidente del consiglio e disse ‘cambieremo le cose’ in riferimento alla prostituzione  schiavizzata, e da lì è iniziata a sua lotta instancabile. Oggi la Papa Giovanni è una realtà solida e professionale, presente in 42 paesi del mondo. Dobbiamo essere fieri di chi ha costruito un qualcosa di tanto straordinario. Questo piccolo prete con la tonaca lisa… ho ancora il ricordo dell’ultima volta che l’ho incontrato, ero andata a trovare padre Alex Zanotelli in Kenia e in aeroporto ho incontrato don Oreste. Avevo un vocabolario di swahili, e me lo chiese come regalo di Natale, dicendomi che per l’anno successivo avrebbe imparato lo swahili, terza lingua al mondo. Don Oreste, alla sua età, aveva un entusiasmo e una passione fuori dal comune”.

Il Prefetto di Rimini Alessandra Camporota ha fatto un lavoro di accoglienza dei profughi davvero importante, quindi chi meglio di lei può onorare il lavoro di don Oreste? “Una volta, durante un convegno – ricorda – disse una frase che mi ha accompagnato durante tutti questi anni, disse ai giovani ‘siate incendiari, non diventate mai pompieri!?’ Sono orgogliosa oggi di aver messo la firma sul provvedimento di istituzione della fondazione a lui intitolata. Lui è testimonianza di una vita straordinaria a favore dei più emarginati che non devono essere considerati scarti ma cittadini di primo livello”.

E non è un caso che don Oreste sia nato a Rimini, e che, da prete diocesano abbia fatto una scelta “diversa”. Oreste fu ordinato sacerdote il 29 maggio del 1949. La sua prima destinazione è stata la chiesa di san Nicolò al porto, tra i marinai. Come lui stesso racconta, i marinai sono stati i suoi maestri. Ogni volta che uscivano in mare per il loro lungo giro lo chiamavano per la benedizione della barca. Si fermava a mangiare con loro, e gli raccontavano di quanto fosse duro e pericoloso quel momento in cui tutto si fa buio, non si vede neppure la stella polare, allora per andare avanti si deve solo tenere il timone ben fermo nella posizione precedente in cui era possibile vedere ancora la direzione. Ecco, in questi racconti don Oreste capì che doveva tenere fermo il timone della vita.

Il sindaco Andrea Gnassi racconta di come don Oreste sia nel DNA Rimini: “Noi romagnoli abbiamo una vocazione alle relazioni con gli altri. La nostra è una città che i muri li ha sempre abbattuti. Ha subito 386 bombardamenti nella seconda guerra mondiale, eravamo distrutti e abbiamo compreso che è nelle relazioni con gli altri che c’è una prospettiva di crescita. Don Oreste con la sua irriverenza ci ha insegnato cose straordinarie, che le cose belle prima si fanno e poi si pensano. Oggi se la rassegnazione scivola verso il cinismo le comunità si disgregano, se le connessioni tra le persone diventano gli algoritmi di uno smartphone, la comunità perde le relazioni e i primi ad essere scartati sono gli ultimi”. A sorpresa il sindaco Gnassi annuncia che la piazza antistante la stazione di Rimini, che al termine dei lavori di riqualificazione sarà la piazza più grande di della città, verrà intitolata proprio a don Oreste.

Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, ricorda come, dopo 11 anni l’impegno sia più che mai forte: “Don Oreste raccontava che la mamma ricamava ma lui non capiva cosa facesse… un punto là e uno qua, ma c’era un disegno. Ecco, noi vogliamo mettere a fuoco la sua vita, una vita con un disegno più grande nelle trame di singoli fili”.

La fondazione don Oreste Benzi

Per questo è nata una fondazione che raccolga la documentazione sulle opere e il pensiero di don Benzi. E’ promossa dalla Comunità, ma è un ente autonomo. Collaborerà con università e enti di ricerca. La fondazione gestisce il sito dedicato a don Oreste, una sorta di “certificato di garanzia” sulle informazioni che vi si trovano. La veridicità e autenticità di queste è attestata dagli studiosi del CEDOC della Papa Giovanni. Il sito è www.fondazionedonorestebenzi.org. Altra novità della giornata è il premio internazionale don Oreste Benzi. La fondazione ogni anno darà un riconoscimento a una persona, fisica o giuridica, che si sia distinta per le lotte per la giustizia e per aver portato avanti l’opera di don Benzi.

Monsignor Lambiasi: “Via don Oreste significa anche via della giustizia”

Le conclusioni della giornata, prima di uscire fuori in strada a inaugurare “via don Oreste Benzi” sono affidate a Monsignor Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini. “Cosa dice via don Oreste Benzi? A me dice via della santità. La via di un santo che non possiamo ridurre a un santino da costruire nella sua immaginetta. Non può essere un bancomat da cui riscuotere qualche grazia. Don Oreste è un santo vero, un cristiano innamorato di Gesù e della chiesa, a cui ha dato la vita. Questo dovrebbe stupirci e farci tremare di responsabilità. Via don Oreste poi richiama via della povertà, che è non dove si chiede l’elemosina, ma è una via per i poveri, per tutti quelli che vengono calpestati nella loro dignità: don Oreste è andato oltre l’aiuto ai poveri. Ha avuto il coraggio di lasciarsi evangelizzare da loro. Via don Oreste significa anche via della giustizia. Non possiamo dare per carità ciò che è dovuto per giustizia. Quando penso a don Oreste mi torna in mente, quasi in filigrana, il bacio di Francesco d’Assisi al lebbroso… Francesco l’ha guardato negli occhi e in quegli occhi che lo fissavano ha riconosciuto gli occhi del crocifisso appena incontrato… il lebbroso non aveva diritto al bacio di Francesco ma ne aveva bisogno. Don Oreste ha rispettato i poveri, non con paternalismo, ha portato avanti la battaglia per i loro diritti ma guardando a ciò di cui avevano bisogno concretamente. Infine è la via dell’umanità… il Censis dice che il 63% degli italiani guarda agli immigrati come ai soggetti più pericolosi, responsabili di ogni male che c’è in Italia. Cosa direbbe don Oreste oggi?”

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