L’avanzata del generale inverno non attende, nemmeno di fronte al dramma dei rifugiati di Mosul. Alle porte dei campi profughi della Piana di Ninive, dove hanno trovato riparo e accoglienza i fuggitivi dall’offensiva lanciata dal sedicente Stato islamico alla città irachena, hanno cominciato a bussare i primi freddi. Una situazione che torna a presentarsi ogni anno, quando le temperature iniziano a scendere fin sotto il grado zero, innalzando il rischio di ipotermia, in particolare nei soggetti più deboli.
L’emergenza impellente è stata segnalata dalle organizzazioni umanitarie che agiscono sul territorio: l’arrivo dell’inverno, questa volta, potrebbe coincidere con un vertiginoso aumento dell’attuale numero di rifugiati. Una circostanza, preoccupante, derivata dalle recenti operazioni militari volte alla liberazione di Mosul dagli occupanti jihadisti, che hanno di fatto aumentato il numero degli sfollati. Nel caso in cui tale previsione dovesse verificarsi, secondo quanto riferito dai volontari, diventerebbe estremamente difficile riuscire a fornire a tutti un’adeguata assistenza, al netto di condizioni già estremamente precarie.
Non conosce soste l’incubo degli emigrati della Piana di Ninive, ogni giorno alle prese con nuovi aspetti di un’emergenza che, ormai da anni, rappresenta una quotidianità. Con il probabile arrivo dell’ennesima ondata di fuggitivi, le difficoltà di gestione aumenterebbero a dismisura in un campo che, presto, potrebbe arrivare a contare quasi un milione di persone. Il sopraggiungere del freddo complicherebbe ulteriormente il compito assistenziale dei volontari umanitari: già lo scorso anno, stando a quanto riportato da fonti locali, le basse temperature hanno portato alla morte di molti bambini, privi di quel riparo adeguato che le tende del campo non sono in grado di offrire appieno.
L’incremento del numero dei profughi andrebbe ad aggravare oltremodo uno scenario già di per sé drammatico. Negli ultimi due anni, ossia dall’inizio dell’offensiva del Daesh, sono state più di 400 mila le persone costrette a lasciare le proprie abitazioni: un dato in perenne aggiornamento, che ha contribuito a creare una condizione di perpetua emergenza umanitaria nel nord dell’Iraq.
Come se non bastasse, alla tragicità del presente, va ad aggiungersi l’incertezza del futuro: in attesa di conoscere gli esiti delle operazioni di liberazione, le previsioni di un eventuale ritorno nei propri luoghi di appartenenza, per i rifugiati, si presentano tutt’altro che facili. Le maggiori preoccupazioni sono legate non solo al rischio dei campi minati, ma a quell’eredità di terrore che la ritirata dei militanti islamici lascerà inevitabilmente dietro di sé.
Nel frattempo, però, ad arrivare è l’inverno: una stagione che dovrà compiere il suo ciclo, nonostante tutto e nonostante tutti.