La Giornata della Tolleranza è stata istituita nel ’95 dall’Unesco con lo scopo di ricordare i principi e gli ideali espressi nella dichiarazione universale dei diritti umani del 1948. Nonostante capita che a volte possa sembrare fuori luogo parlare di tolleranza, si tratta di un valore inestimabile che va coltivato perché solo attraverso esso si può comprendere che la diversità racchiude in sé un patrimonio inestimabile.
L’intervista
Interris.it ne ha parlato con Blenti Shehaj, presidente dell’associazione multietnica dei mediatori interculturali, nata nel 2005 su iniziativa di un gruppo di mediatori interculturali del Piemonte. Attraverso le loro competenze e percorsi di vita hanno creato un team di lavoro che coinvolge tutte le etnie residenti sul territorio con l’intendo di costruire nuovi spazi di impiego per la mediazione interculturale.
Signor Shehaj, lei è arrivato in Italia 25 anni fa dall’Albania. Sulla sua pelle ha subito questa mancanza di tolleranza?
“Io scappavo dalla situazione socio-politica ed economica che in quegli anni investiva il mio Paese. All’epoca l’opinione pubblica italiana non era dalla nostra parte e non è stato semplice integrarsi. Sono stati anni in cui, come tanti altri miei connazionali, ho dovuto dimostrare molto a chiunque venisse in contatto con me. La strada a volte è stata in salita, ma ora, dopo molto tempo posso dire di essere riuscito a guadagnarmi la fiducia di questo bellissimo Paese”.
Che valore ha celebrare questa giornata?
“La nostra società ha bisogno di riflettere e di capire che la tolleranza è un valore che noi tutti dobbiamo difendere. Si tratta di un elemento essenziale per accettare l’altro anche se diverso da noi per idee, etnia, cultura o religione. Purtroppo però, nonostante si parli molto di apertura verso il prossimo, ci si accorge che troppo spesso accade il contrario e per questo noi crediamo sia fondamentale promuovere una comunicazione efficace e consapevole che arrivi nella profondità delle persone”.
Da cosa è messa in discussione la tolleranza?
“Certamente dalla paura di accogliere ciò che si discosta dalle nostre convinzioni e che dunque si pensa potrebbe anche influire in modo negativo sul futuro stesso della società in cui viviamo. Questo timore porta innanzitutto a un rifiuto di ascolto dell’altro e successivamente a una chiusura ermetica verso qualsiasi cosa arrivi dal diverso in quanto è considerato una minaccia da evitare”.
La persona tollerante invece, come vede la diversità?
“Come una possibilità di crescita per se stesso e per la società. Il diverso diventa un plus irrinunciabile, che spalanca nuove opportunità e strade da percorrere con coraggio. Aprirsi alla tolleranza significa elaborare un pensiero che raggira l’ostacolo della paura e definisce il diverso non come una minaccia alle nostre certezze, ma come un qualcuno o un qualcosa che le arricchisce”.
I giovani possiedono questo valore?
“Le nuove generazioni nascono in un contesto che dà largo spazio a questo argomento, ma spesso rimane un discorso teorico. Molto dipende anche dalla famiglia di provenienza e dai percorsi di vita che ognuno di vita ha. Io credo che il seme della tolleranza sia insito in ogni persona, ma che se non viene coltivato con una certa costanza, purtroppo potrebbe anche seccarsi e successivamente morire”.
Nel caso di una persona migrante, come può contribuire a elaborare un atteggiamento tollerante?
“Innanzitutto rispettando il Paese ospitante, partecipando alla vita sociale e culturale della comunità e dimostrando di voler erigere dei rapporti solidi e di condivisione. Io penso non sia facile perché vuol dire anche accettare alcuni pregiudizi iniziali, ma sono anche altrettanto convinto che entrambe le parti devono collaborare con rispetto reciproco. Solo in questo modo si potrà finalmente arrivare a un mondo in cui la diversità si traduce in uguaglianza”.