Terremoto in Afghanistan. L’intervista a Yahy Kalilah di Msf

Afghanistan

Foto: Medici Senza Frontiere

L’Afghanistan è un Paese ancora frastornato dal potente terremoto di magnitudo 6.3 che, alle 6 e 41 del mattino ora locale del 7 ottobre scorso, ha colpito la provincia occidentale di Herat. Secondo le autorità talebane ha causato la morte di oltre 2.000 persone, ma si tratta di dati non ancora definitivi dal momento che successivamente si sono verificate altre scosse di cui una altrettanto intensa mercoledì 11 ottobre. I villaggi della provincia di Herat sono stati ridotti ad un ammasso di macerie, di mattoni di fango e di pali di legno, tanto che ancora oggi i soccorritori continuano a scavare con picconi e pale alla ricerca di eventuali sopravvissuti.

L’intervista

Medici Senza Frontiere è presente nel Paese e sin dalle prime scosse le sue équipe sono scese in campo per soccorrere i migliaia di feriti, di cui molti sono donne e bambini. Interris.it ha intervistato Yahy Kalilah, capo dei programmi di Medici Senza Frontiere in Afghanistan, che ha spiegato le conseguenze di questa calamità naturale sulla popolazione afghana.

Le persone che vengono da voi che lesioni presentano?

“Innanzitutto è bene dire che la maggior parte dei pazienti sono donne e bambini, ovvero la fascia della popolazione più fragile. Questi manifestano sopratutto dei traumi cranici, arti rotti, tagli ed abrasioni, tutte lesioni tipiche di un terremoto e del crollo di edifici”. 

Come state gestendo l’emergenza? 

“Da subito le nostre squadre hanno lavorato per rendere migliore l’accesso del flusso dei pazienti e per fornire, dopo una prima stabilizzazione iniziale, l’assistenza adeguata ai tanti feriti. Un’altra squadra ha invece visitato alcune delle aree più colpite al di fuori della città per valutare i bisogni medici e umanitari. Inoltre, continua l’attività nel reparto pediatrico dell’ospedale”. 

I bambini sono stati evacuati dall’ospedale di Herat. Perché e dove sono stati portati? 

“Per semplice precauzione sono stati spostati tutti i 141 bambini affetti da malnutrizione acuta grave che erano ricoverati nel centro di alimentazione terapeutica (ITFC) e nell’unità di terapia intensiva (ICU). Dopo l’ultima scossa di mercoledì, tutti i pazienti dei reparti pediatrici sono stati trasferiti in container, allestiti per gestire le crescenti esigenze dell’ospedale. Durante i terremoti infatti, i container sono degli ambienti sicuri perché il rischio di crollo è ridotto al minimo rispetto alle strutture in cemento. Questa è solo una soluzione temporanea fino a quando non cesseranno le scosse di assestamento”. 

 A livello psicologico, come stanno le persone? 

“La gente è terrorizzata e molti dormono ancora fuori casa per evitare, in caso di altre scosse, di venire schiacciati dalle macerie. Molti di loro hanno perso familiari e non hanno più una casa dove abitare, altri sono i pochi sopravvissuti di un intero villaggio. A Herat l’inverno è alle porte e nonostante la mobilitazione di organizzazioni e di singoli individui che distribuiscono cibo, acqua e ripari a chi ne ha bisogno, questa situazione spaventa e ha un impatto devastante sulla salute mentale delle persone, sopratutto dei più fragili”.

Elena Padovan: