La tecnologia non è “a impatto zero”. Intervista all’ingegner Lorenzo Maurizi

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Sos-inquinamento da tecnologia. “Router, firewall, switch, modem, bridge. Sono solo alcuni degli apparecchi che formano un colossale intreccio che consuma energia. E produce calore, grande nemico dei chip elettronici– afferma l’ingegner Lorenzo Maurizi-. Quindi è necessario usare altra energia per raffreddare questi apparati”. Tecnologia e sostenibilità: connubio irrinunciabile. “Per migliorare l’efficienza i dispositivi da cui dipendono le nostre vite vengono concentrati in alcuni stabilimenti– spiega a Interris.it l’esperto di informatica- Questi ‘data center‘ o server farm cpossono ottimizzare i costi per gli impianti, ma che consumano tanta energia elettrica quanto le abitazioni di un piccolo comune. E a volte anche acqua per gli impianti di raffreddamento. Tutto questo consumo energetico non è a impatto zero sull’ambiente. Poiché ancora produciamo energia per la maggior parte con combustibili fossili“.

Tecnologia come vocazione

Lorenzo Maurizi, classe 1973, ingegnere elettronico, è appassionato di tecnologia fin da bambino. Scopre l’elettronica durante l’adolescenza e muove i primi passi nell’ informatica con il mitico Commodore 64. Alla fine degli degli anni ‘80 incontra il mondo dei personal computer. E ne segue tutta l’evoluzione fino ai giorni nostri. trasformando questa passione nel proprio lavoro. Dopo la laurea ha ricoperto vari ruoli in aziende IT (informatica e telecomunicazioni). Dal 2008 si occupa di informatica nel settore dell’università e della pubblica amministrazione locale.Si parla raramente della sostenibilità ambientale della tecnologia. Anche la Rete inquina?

“Internet è ormai uno strumento che usiamo quotidianamente per lavoro o svago. Il modo in cui usiamo Internet è abbastanza semplice. Abbiamo un dispositivo tra le nostre mani. Per esempio il nostro smartphone, il computer su cui lavoriamo, ecc. Lo usiamo per interagire con altri dispositivi (cioè i server, accesi 24 ore al giorno) per cercare informazioni o creare nuovi contenuti. Questi dati percorrono il pianeta attraverso le strade digitali che collegano tra loro tutti questi oggetti. Internet, ‘la rete delle reti’ è dunque un coacervo di cavi e di segnali elettrici. Che vengono ricevuti e ritrasmessi da numerosi apparati di rete. Distribuiti ovunque sul globo. E interconnessi tra loro”. Qual è l’impatto ambientale?

“Non dimentichiamo che questo grande ammasso di apparecchi, fatti di componenti elettronici, prima o poi smetterà di funzionare. Trasformandosi in rifiuti di plastica, silicio, metalli rari. E altri elementi tossici, che oggi chiamiamo RAEE, cioè Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche. La cui gestione è un costo ulteriore per la nostra società”.I bitcoin sono un fenomeno in vorticosa ascesa. Quanto costa all’ambiente in termini di impiego di energia?

“I bitcoin, e più in generale le criptovalute, che si stanno moltiplicando, sono un fenomeno tecnologico che ha avuto un forte successo in breve tempo. Complice il fatto che sembrano essere il nuovo Eldorado per arricchirsi senza fatica. Ma questo non corrisponde alla realtà. ‘Minare’, ossia poter reclamare il possesso di una unità di queste criptovalute, richiede una serie di calcoli matematici molto complessi. Che devono essere compiuti prima che qualcun altro arrivi allo stesso traguardo. Per ottenere un bitcoin, il nostro computer, ancorché potente, non è in grado di raggiungere alcun risultato economicamente sostenibile. Dovrebbe rimanere acceso per giorni e giorni. Con un consumo elettrico che vanificherebbe il guadagno ottenuto dal valore del bitcoin stesso”.Cosa ne consegue?

“Questo ha fatto sì che il ‘mining’ di criptovalute abbia proseguito su varie strade più o meno lecite. Gli hacker hanno cominciato a infettare i computer con dei virus che utilizzano la potenza di calcolo (e l’energia elettrica) delle proprie vittime. Altri, con molta fantasia, hanno convertito le proprie auto Tesla, che negli Stati Uniti vengono ricaricate gratuitamente, in sistemi per cercare i bitcoin. Altre persone installano i software per minare i bitcoin sui computer aziendali. In altri casi il mining è diventato un business, portato avanti da aziende che impiantano grandi ‘mining farm’. Distese di computer che elaborano calcoli in maniera continua. Con ingenti consumi di energia elettrica. Raccogliendo sottoscrittori che partecipano alle spese per sfruttare le economie di scala dell’impianto professionale. Sperando in una remunerazione dell’investimento”.Può farci un esempio?

“Per massimizzare il guadagno, a volte delle mining farm illegali vengono nascoste all’interno di edifici. Per poter sfruttare l’energia elettrica di qualcun altro, oppure vengono scelte localizzazioni geografiche dove l’energia costa meno. Come ad esempio il Kosovo, che ha recentemente deciso di rendere il mining di bitcoin illegale. Dopo la crisi per l’aumento del costo dell’energia che questa attività ha procurato. Tutto questo dimostra come l’impatto energetico di questa nuova risorsa sia alto. E finché l’energia elettrica sarà prodotta in modo inquinante, anche l’ambiente pagherà questa forma di ‘estrazione mineraria’, virtuale, sì, ma dalle conseguenze sempre reali sul nostro ecosistema”.Secondo l’agenzia francese Ademe, una singola e-mail da 1 Megabyte emette nel suo invio una dose di circa 19 grammi di CO2. Questa quantità di anidride carbonica è la somma del consumo energetico del computer di invio e di quello dei server che instradano la posta elettronica nel traffico virtuale. Ciò significa che il web non è “green”?

“Per rispondere a questa domanda, dobbiamo chiederci qual è l’impatto delle nostre azioni sull’ambiente, prima e dopo la venuta di Internet e del web, e come sono cambiate le abitudini. Fino al secolo scorso, la regina delle comunicazioni era la carta, la cui produzione ha un impatto ambientale importante: abbattimento di alberi, utilizzo di acqua (circa mezzo litro per un foglio A4) che deve poi essere depurata, produzione di rifiuti e consumo energetico (circa 30 Watt/h per un foglio A4), per una impronta ecologica totale di circa 4,5 g di CO2e (Anidride carbonica equivalente) per ogni foglio A4. Facendo riferimento al nostro esempio, una mail di circa 1 Megabyte, magari con un documento allegato in formato PDF con testo e qualche immagine, può corrispondere ad uno scritto di circa 20 pagine o anche di più, se nel file PDF non viene inserita alcuna immagine. Quindi l’equivalenza cartacea porta all’impronta ecologica di almeno 90 g di CO2e, senza tenere conto dell’impatto della stampa”.E in passato?

“D’altro canto, è anche vero che la comunicazione cartacea prevedeva molte meno interazioni di quelle che sviluppiamo oggi con l’e-mail: scriviamo molto più di frequente, sostituendo le comunicazioni di persona con altre via e-mail, ma l’impronta ecologica di una mail standard, le cui dimensioni non superano i 30-40 kiloByte, è di circa 4 g di CO2e, permettendoci quindi di aumentare il margine di ecologicità sulla comunicazione cartacea. In definitiva, il web da una parte ci sta aiutando ad essere green, dematerializzando le informazioni e risparmiando gli spazi dedicati agli archivi cartacei, ma dall’altra sta modificando il tipo di rifiuto prodotto: dalla carta, più facilmente degradabile nell’ambiente, ai prodotti elettronici, più impattanti”.Le multinazionali della tecnologia si pongono la questione della sostenibilità ambientale? Rispetto agli albori della rivoluzione digitale, oggi gli strumenti informatici sono più “verdi”?

“Per quella che è la mia esperienza con le apparecchiature informatiche, posso dire che l’industria ha sempre cercato di migliorare l’impatto energetico dei propri prodotti, forse per una sorta di ‘senso di colpa’ per la produzione molto inquinante di oggetti elettronici. Ricordo che negli anni ‘90 sui monitor a tubo catodico cominciava a vedersi il marchio Energy Star®, che prometteva di consumare meno energia. Ricordo poi che, nello stesso periodo, alcuni produttori si accordarono per inventare le ‘specifiche ACPI’, un sistema che permetteva di istruire i microprocessori a consumare meno energia quando non avevano elaborazioni da portare a termine. Nel tempo, questa corsa all’ottimizzazione energetica ha coinvolto tutta la catena delle apparecchiature informatiche. Gli schermi LCD hanno ormai sostituito del tutto gli schermi a tubo catodico, portando miglioramenti nel consumo energetico, ma soprattutto alla salute dei nostri occhi”.In che direzione si è indirizzata questa evoluzione?

“I microprocessori sono sempre più raffinati. Le dimensioni dei chip in 10 anni si sono ridotte notevolmente. Il ‘die’ di silicio (la piastrina che contiene i microscopici componenti di un microprocessore), è sceso da 300 mm2 di superficie a 150 mm2, la potenza di calcolo è aumentata ma lo spreco di energia, cioè il calore prodotto durante l’elaborazione, è addirittura diminuito. Gli alimentatori dei computer sono sempre più efficienti. Per loro è stata avviata l’iniziativa di autocertificazione ’80 Plus’ che promette di non sprecare in calore più del 20% dell’energia elettrica prelevata dalla rete, quando in passato gli alimentatori migliori non riuscivano ad avere una efficienza maggiore del 60%. Anche gli apparecchi e le schede di rete informatica sono avviati verso una svolta ‘green’, da quando, nel 2010, sono state coniate le specifiche ‘Energy-Efficient Ethernet’ per ridurre i consumi energetici durante i periodi di inattività delle comunicazioni sulla rete”.A cosa si riferisce?

“Il mercato dei dischi fissi sta dando ragione ai dischi a stato solido (SSD). Questi sono  molto più veloci ed hanno un consumo elettrico nettamente inferiore rispetto ai dischi magnetici, che devono far ruotare i piattelli al loro interno con un motore. A conferma di questi efficientamenti energetici, i notebook di oggi vantano una durata di alimentazione a batteria molto superiore rispetto a qualche anno fa, arrivando a superare le 3 ore, quando, in passato, arrivare ad un’ora era una fortuna. Tutti questi accorgimenti, e ce ne sono molti altri, sono riflessi anche nel software: i sistemi operativi che utilizziamo sui nostri computer (Windows, MacOS, Linux ecc.) hanno numerose impostazioni legate al risparmio energetico, permettendoci di scegliere varie alternative tra la massima velocità di elaborazione e il massimo risparmio di energia”.Quali sviluppi si possono prevedere?

“Sono molti gli aspetti su cui l’industria tecnologica ha investito in ricerca per migliorare l’efficienza energetica dei prodotti. Lo percepiamo anche dalle “etichette energetiche” che troviamo nei negozi di elettrodomestici ed elettronica di consumo, con quella bella scala di lettere che ci spinge a comprare prodotti con la ‘A’. Oltre a questo, si nota anche una sempre maggiore attenzione ai materiali con cui i prodotti vengono realizzati e al packaging, che ormai vede carta e cartone farla da padrone, anche se questo sa un po’ di ‘greenwashing'”.

Giacomo Galeazzi: