Il Sud Sudan da decenni è teatro di conflitti, di violenze, di crisi ambientali e di migrazioni forzate. Questa infelice situazione porta con sé delle conseguenze molto forti che influiscono anche sul benessere psicologico della popolazione. I numeri parlano chiari, in Sud Sudan un quinto degli abitanti è affetto o rischia di sviluppare dei disturbi mentali. Si tratta di una stima dell’OMS, valida per i contesti di conflitto o post-conflitto, che indica anche che nel continente africano il Sud Sudan è al quarto posto per tasso di suicidi e ricopre la tredicesima posizione nel mondo.
L’intervista
Per comprendere meglio la situazione Interris.it ha raggiunto telefonicamente in Africa Jacopo Rovarini, specialista di sanità pubblica in Amref e coordinatore di un progetto consortile sulla salute mentale in Sud Sudan, co-finanziato dall’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo.
Jacopo, in Sud Sudan possiamo definire la salute mentale un’emergenza?
“Sì perché si tratta di un contesto instabile e ogni qualvolta una delle tante crisi si manifesta o si acuisce crea un impatto molto forte sulla vita dei singoli, creando uno stato di apprensione o addirittura traumi. Allo stesso tempo no, perché questo popolo è incredibilmente resiliente ed è come se l’emergenza, quando si manifesta, sia l’ennesima urgenza su cui intervenire nell’immediato. Quello della salute mentale è un problema che può colpire chiunque, in primis chi vive una situazione di deprivazione economica, di emarginazione e di vulnerabilità”.
Quali sono le cause maggiori della mancanza di benessere mentale?
“Innanzitutto il conflitto armato che, anche quando non è evidente, rimane sempre latente, creando uno stato di continua tensione, che mina la serenità della popolazione. Inoltre, i fattori meteorologici che in questi ultimi anni si sono estremizzati a causa del cambiamento climatico, con episodi di alluvioni sempre più violenti e frequenti, nonché periodi di siccità con ondate di caldo insopportabili che hanno un impatto fisico e mentale sulla vita di ogni giorno. Infine, ci sono anche molti episodi di violenza di genere all’interno delle famiglie e delle comunità, dovuti innanzitutto a dinamiche di potere patriarcale che ostacolano l’emancipazione femminile”.
Il malessere mentale come si manifesta?
“Purtroppo non vi sono dati precisi che ci indichino quali siano le manifestazioni più comuni, e con quale prevalenza. Uno studio però, di qualche anno fa a Giuba, la capitale, ci dice che il 50% delle persone soffriva di stress post-traumatico , ovvero una forma abbastanza grave di risposta ad un trauma, a seguito dell’ultima guerra civile che aveva interessato la città. Naturalmente ogni persona reagisce in modo diverso e ci sono casi di stress acuto, di psicosi, eccetera”.
Cosa manca a livello di diagnosi e di trattamento?
“Il Ministero della Sanità locale chiede mira a che il 90% delle proprie strutture sanitarie abbiano almeno un operatore sanitario formato sulla diagnosi e sul trattamento delle principali condizioni mentali o patologie neurologiche, o abuso di alcol e altre sostanze. In realtà però la situazione è molto diversa e ad oggi meno della metà delle strutture possiede un operatore con queste competenze e per questo noi di Amref cerchiamo di intervenire. Inoltre, la situazione è resa complicata dal fatto che mancano il riconoscimento e la consapevolezza anche da parte di chi soffre della patologia o del disturbo, e di conseguenza spesso anche davanti a delle manifestazioni di malessere evidente, difficilmente si chiede aiuto. Infine, anche dove avviene una diagnosi, mancano poi i medicinali per il trattamento farmacologico farmaci che possano dare ed un sostegno psicologico adeguato”.
Voi di Amref intervenite con il progetto M(H)IND. In che cosa consiste?
“Si tratta di un’iniziativa partita nel novembre 2022 e che durerà tre anni in collaborazione con l’Università di Verona, Caritas e BBC Media Action. M(H)IND rappresenta il primo progetto interamente dedicato all’espansione di servizi di salute mentale a livello comunitario, primario e secondario, pienamente integrato nel sistema sanitario locale sud sudanese. Innanzitutto, prevede la formazione intensiva e la supervisione tecnica continuativa del personale sanitario impiegato presso gli otto ambulatori per la salute mentale sostenuti dal progetto e la fornitura di assistenza tecnica a favore del Ministero della Sanità per la formulazione di documenti di indirizzo strategico nell’ambito della salute mentale. Inoltre vi è la formazione e il sostegno di volontari di comunità, impegnati nell’identificazione e nel riferimento di persone con disturbi psicologici, neurologici e psichiatrici, e di quella di volontari parrocchiali impegnati nell’assistenza psicosociale di queste persone”.