Un vero e proprio inferno quello di Kodok, nel Sudan del Sud. L’intensità degli scontri tra le due fazioni in lotta del South Sudan people’s libeartion army e dei militanti Agwelek, si è particolarmente intensificata negli ultimi giorni, costringendo non solo la popolazione locale a un’emigrazione forzata ma anche le organizzazioni umanitarie a sospendere le loro attività di assistenza quotidiana, prima fra tutte, l’ong “Medici senza frontiere”. A spiegare la situazione è stato il capo missione in Sud Sudan, Marcus Bachmann, attraverso un comunicato apparso sul sito ufficiale: “Ci troviamo di fronte a un potenziale disastro, i bisogni sono enormi. Gli ospedali nell’area non sono funzionanti e le forniture d’acqua non sono sicure. Nei giorni scorsi gli sfollati non hanno avuto accesso ad acqua potabile per via dei combattimenti. A causa dell’esposizione al caldo torrido e agli agenti atmosferici, ben presto la popolazione soffrirà di disidratazione cronica e diarrea, ma anche di malattie come il colera”.
Attività sospese
Una situazione estremamente complessa, resa ulteriormente difficile dalla rapida variazione delle posizioni avverse che, con frequenza, cambiano di mano, rendendo di fatto la condizione dei civili del tutto simile a un accerchiamento da ogni lato. In tale contesto, chi resta è costretto ad affrontare una realtà fatta di gravissima emergenza alimentare e, ora più che mai, anche igienico-sanitaria; chi sceglie di partire, cercando di sconfinare nel Sudan, deve intraprendere un viaggio tutt’altro che facile al quale, assieme al rischio legato agli scontri, si unisce la quasi certezza di affrontarlo senza viveri per la sussistenza. Uno scenario drammatico che, in virtù del grave escalation di violenza, ha costretto all’interruzione delle operazioni anche i volontari umanitari.
In fuga verso il Sudan
Il problema principale, per chi va e chi rimane, resta l’accesso all’acqua, sensibilmente calato negli ultimi giorni: secondo quanto riportato, addirittura, la possibilità di usufruire di riserve è di 1,7 litri a persona, contro i circa 3 richiesti per la sopravvivenza. In totale, la disponibilità d’acqua è stata pari a 60 mila litri complessivi. Un’emergenza, dunque, che potrebbe aggravarsi ulteriormente con l’arrivo della stagione delle piogge e il conseguente incremento del flusso migratorio verso il Sudan (attualmente le persone in fuga sono 25 mila), proprio nel momento in cui le attività dell’ospedale da campo e delle due cliniche mobili Msf sono state forzatamente interrotte: “Chiediamo a entrambe le parti di assicurare a tutti i civili la protezione dai combattimenti e un accesso sicuro all’assistenza umanitaria – ha concluso Bachmann -. Essendo stati costretti a sospendere gran parte delle nostre attività, abbiamo fornito borse contenenti medicine e beni essenziali in modo che il nostro staff che si trova con gli sfollati possa fornire assistenza di base”.
Foto: Msf