Stefano ha tutto il mondo in una stanza. Quattro pareti che sono una barriera per il corpo, non per la mente. Nelle giornate riscaldate dal sole quei muri sbiadiscono e diventano finestre, e Stefano può viaggiare e volare sognando mete lontane, come New York. Non è facile la sua vita. Per nulla. Spesse volte su quella carrozzina motorizzata, Stefano ha percepito il peso della sofferenza, una “gratuità” non richiesta, al punto che talvolta può balenare il gelo di un'idea: farla finita. E così, quelle pareti possono trasformarsi in feritoie, e infine in grate di una prigione da cui è difficile uscire. A Stefano capita spesso la sera quando, dismesse le forze di una giornata plasmata sulla fatica, pensa e ripensa al suo passato, a ieri, e chiede a Dio il perché di tutto questo.
Le cifre della sofferenza
Stefano è fra le tre milioni di persone in Italia – circa il 5% della popolazione totale – che ha limitazioni così gravi da impedire loro di svolgere autonomamente le attività quotidiane. Nel tempo, la distrofia muscolare di cui è affetto gli ha assorbito gradualmente ogni forza e, con essa, la voglia di vivere. La malattia come male progressivo, giorno dopo giorno gli ha fiaccato l'entusiasmo. Ma non è il male che realmente lo scuote. Un altro fatto comincia a turbarlo profondamente: un giorno dei ladri entrano in casa e cercano di derubarlo, tuttavia senza successo. Quell'episodio sbatte in faccia a Stefano la sua fragilità, che è impastata a un male fatto dal timore di essere sempre meno autosufficiente e dalla solitudine. È lo stesso male di cui è affetto il Il 26,9% delle persone con limitazione grave: la paura di sentirsi impotenti davanti alle sfide del mondo. Così Stefano, compiuti i 47 anni, pensa di ricorrere al suicidio assistito: liberarsi di una vita che sente come un peso per gli altri e per sé. Lo scrive sui social, che da anni sono il suo modo di comunicare col mondo, e il mondo gli risponde: si susseguono i messaggi di forza, vicinanza. C'è chi lo invita a non mollare, chi desidera condividere il suo dolore. Il web diventa per Stefano un mare che gli infonde coraggio: la sua epica della morte si trasforma in racconto di vita. Oggi Stefano ha scelto di non morire. Per questo eroe del quotidiano la vita è un dono che va ancora vissuto fino in fondo.
La forza di Stefano
Stefano, hai scelto di non ricorrere all'eutanasia. Come mai?
“Tutto è scaturito dopo avere avuto il riscontro di tante persone che hanno saputo della mia storia e che si sono interessate a me, sono venute per conoscermi, mi hanno chiesto di cosa avessi bisogno. Tutta questa vicinanza, affetto, solidarietà e comprensione mi hanno fatto pensare che tutto ciò che desideravo era concretizzare questo bisogno in me”.
Che rapporto hai con la tua malattia?
“All'età di 15 anni mi sono trovato in carrozzina. Da adolescente è stato un trauma, però col tempo l'ho accettato. In questi ultimi anni, mi ha buttato giù tanto il fatto di aver bisogno di un ventilatore per respirare. Il fatto di dipendere da un macchinario mi ha fatto sentire più fragile, sempre più meno vicino alla voglia di vivere. E poi una delle cose è stata vedere mia mamma che ha la mia stessa malattia che è in una casa di riposo allettata con tracheotomia e vedo come sarà il mio futuro”.
Cosa non accetti della tua malattia?
“Diciamo che non credo di averla mai accettata perché, oltre a riguardare me e mia madre, negli ultimi anni riguarda anche mia sorella. Il peso è di non poter fare tante cose che altre persone intorno a me fanno. Sono i miei limiti. Sicuramente, la malattia mi permette di capire di più tante cose, e di far capire agli altri che la vita è un dono prezioso. In questo cerco di aiutare gli altri, e i social mi aiutano a restare in contatto con la realtà al di fuori di me, per tenere vive le mie passioni, anche parlandone”.
Che cosa rappresenta la tua camera?
“La mia camera è il luogo in cui comunico con gli altri. È essenziale per me, perché mi permette di essere a contatto col mondo circostante. Ma è anche un posto in cui sogno tutto quello che c'è attorno a me”.
Qual è il tuo sogno più grande, Stefano?
“Il mio sogno più grande è che mia sorella possa guarire, perché è la mia vita, è una parte essenziale della mia esistenza. La ricerca scientifica sta procedendo per contrastare la distrofia muscolare, e spero che magari possa in un futuro non peggiorare così da avere un po' di serenità. Un sogno mio è quello di andare a New York. Non ho mai viaggiato in vita mia, da adolescente sono stato a Lourdes con l'Unitalsi, ma una vacanza vera e propria non l'ho mai fatta. Mi ha sempre affascinato New York, la sua grandezza, maestosità, simbolo di integrazione e libertà, poter camminare senza essere giudicato… Questo mi affascina di più”.
Se potessi guardare te stesso faccia a faccia, cosa ti augureresti?
“Di tenere duro, di andare avanti e di realizzare un altro sogno, riuscendo a stare vicino a mia sorella e a mia mamma, sperando di godere ancora tanto della loro presenza. Per me l'amore è dare, non ricevere. Dare all'altro, sia esso un familiare, un amico, un estraneo”.
Racconti che ti ha fatto bene al cuore ricevere la visita del Vescovo di Vicenza, Mons. Beniamino Pizziol…
“Sì, è stata una bella visita, mi ha fatto piacere e sono rimasto contento che non mi ha giudicato per la mia scelta iniziale di volere l'eutanasia. Non mi ha chiesto nulla, si è solo interessato di cosa avevo bisogno, ha voluto conoscermi, sapere della mia vita, della mia malattia, cosa mi piace fare. Ne sono uscito sereno”.
Qual è il momento più bello della giornata?
“Mi piace ascoltare tanta musica a seconda del mio stato d'animo, così come guardare dei film. Quando mi viene a trovare qualche amico, è una delle cose più belle che possa avvenire nell'arco di una giornata.”
Nella Giornata Mondiale del Malato, la storia di Stefano non è la voce di uno che dispera, ma il respiro dell'umanità che rivive nella notte, rinasce e vive eroicamente ogni momento. Lo ha sottolineato anche Papa Francesco nel suo discorso in occasione di questa giornata, che rivolgendosi ai malati, ha detto: “Cari fratelli e sorelle infermi, la malattia vi pone in modo particolare tra quanti, 'stanchi e oppressi', attirano lo sguardo e il cuore di Gesù […]. In Lui, infatti, le inquietudini e gli interrogativi che, in questa 'notte' del corpo e dello spirito, sorgono in voi troveranno forza per essere attraversate. Sì, Cristo non ci ha dato ricette, ma con la sua passione, morte e risurrezione ci libera dall’oppressione del male”. Con il suo alto esempio di vita, Stefano ricorre che, oltre la carrozzina il corpo, fattosi notte, diventa un luogo di ristoro. È il mistero insondabile dell'amore. Lo stesso che ha intasato la bacheca del suo profilo social di messaggi di vicinanza.