La tutela dei diritti dei disabili passa anche attraverso la possibilità di praticare uno sport. L’attività sportiva infatti è un valido strumento di inclusione e di integrazione, nonché un mezzo per costruire le basi necessarie per lavorare in squadra. Inoltre, svolgendo sport, il singolo può raggiungere una profonda conoscenza di sé stesso e dell’altro.
L’intervista
Interris.it ha parlato di inclusione con Riccardo Dezi, presidente del Circolo Canottieri 3 Ponti di Roma, che anche quest’anno ha partecipato alla manifestazione in sei tappe, supportata dalla Fondazione Terzo Pilastro-Internazionale, e che prevede la discesa del fiume Danubio, in questa occasione partendo da Schlögen fino ad arrivare a Vienna.
Presidente, questa manifestazione che cosa rappresenta per voi?
“La discesa a remi del Danubio con equipaggi misti internazionali e inclusivi è molto di più di un semplice evento sportivo. Si tratta di un esempio concreto di come l’inclusione possa consentire allo sport di mettere in campo i suoi valori più alti. I quattro equipaggi erano formati da persone con disabilità molto diverse tra di loro, da chi è paraplegico, a chi manca la vista. Noi infatti, non poniamo alcun limite perché crediamo che ogni atleta possieda delle risorse che solo lui può mettere a servizio degli altri. Lo sport annulla ogni tipo di disabilità e il canottaggio, in particolare, ponendo fisicamente tutti nella stessa barca, rende le differenze e i limiti giocoforza superabili, nell’accettazione e nel sostegno reciproco”.
Inclusione significa anche integrazione.Come mettete a terra questo concetto?
“Gli atleti diversamente abili vengono messi in barca con altri atleti considerati senza disabilità. Tra di loro si crea una cooperazione importante, tramite la quale possono raggiungere i tanti obiettivi fissati. Io che credo a questo tipo di integrazione, non riesco a parlare né di inclusione, né di evento inclusivo. Preferisco raccontare di una manifestazione a cui hanno partecipato molte persone diverse tra di loro, e tra queste alcune erano portatrici di disabilità”.
Che cosa rende il canottaggio uno sport particolarmente inclusivo?
“Il fatto che quando si rema si ha la possibilità di sentire il lavoro degli altri componenti e per farlo bene si deve possedere la predisposizione all’ascolto. In quei frangenti tutti gli atleti hanno lo stesso punto di riferimento, ovvero lo scafo che si muove nell’acqua. Grazie a queste capacità si può raggiungere un’armonia particolare che rende anche le difficoltà più facili da affrontare”.
Per partecipare a un evento come questo, quanto lavoro c’è alle spalle?
“La discesa del Danubio, che dura molte ore, avviene seduti in un carrello di legno, con le gambe orizzontali rispetto al tronco. Per fare tutto ciò ci vuole un grande allenamento e una preparazione, per esempio, per prevenire i crampi e sopportare il dolore che può sopraggiungere alle mani, a contatto con il remo. Il nostro compito è quello di convocare gli atleti che consideriamo più costanti e capaci di affrontare un’impresa del genere e, naturalmente, di prepararli al meglio, psicologicamente e fisicamente”.