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Slow parenting: ultima chiamata per genitori e figli

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La “genitorialità lenta” (o “slow parenting”) consiste, in un ambito generale di ritorno alla cultura slow anche in Italia, nel moderno recupero della sana educazione, dei principi, dei giochi e dei tempi, cercando di rendere più qualitativi i momenti trascorsi con i propri bambini.

Scambio di attenzioni

In questo rapporto di genitorialità, i figli giocano e apprendono con calma, senza esigenze di riempire il tempo libero in attività sportive, musicali o artistiche. Queste attività, spesso pensate e vantate come irrinunciabili, per imbottire i figli di nozioni e speranze, finiscono per trovare fisici e menti sempre più impermeabili, in una sorta di illusione collettiva. L’esagerazione, infatti, conduce a una sorta di competizione continua, con la relativa ansia di non riuscire e di deludere tutti, in primis se stessi. Riempire in tal modo tutti i pomeriggi, riduce anche quel giusto periodo che, genitori e figli, dovrebbero trascorrere insieme, per dialogare, giocare e, addirittura, per una parziale e salutare pausa di ozio. La genitorialità lenta prevede uno scambio di attenzioni e un margine anche all’azione non perfetta e ottimizzata, in cui pure un’ora di noia può avere la sua valenza positiva e non essere più considerata una perdita di tempo.

Basta una fiaba…

Il genitore dovrebbe stimolare la curiosità e la voglia di apprendimento dei propri figli nella quotidianità, senza essere pressato dal senso di colpa del perdere tempo prezioso per altre attività. Si tratta, quindi, di recuperare un rapporto sano (anche nel rispetto dei ruoli), proprio di epoche precedenti e non più di quella contemporanea. Può apparire banale, semplice, ovvio e poco redditizio agli occhi dei genitori di oggi e anche anacronistico se rapportato alle loro agendine digitali zeppe di promemoria e impegni, ma è l’unica via di salvezza, per entrambe le parti. Sono lontani i tempi in cui il padre o la madre si dedicavano alla lettura di una fiaba, per far sognare il proprio piccolo sul lettino e fargli arrivare messaggi culturali, su contenuti e linguaggi. I genitori-manager, infatti, giungono, nella sera, in condizioni di affaticamento e stress e non hanno altra via di uscita che lasciare i figli davanti al televisore o al telefono cellulare, pur di sbrigare le faccende di casa.

La paura di deludere

E’ nota la complessità del ruolo di genitore ma è opportuno fermarsi a ragionare per cercare di valutare le situazioni, senza essere sopraffatti dalla fretta e dall’esigenza di rasentare la perfezione. Riconoscere un errore, avere l’umiltà di fare un passo indietro è più redditizio del rassegnarsi od ostinarsi a puntare l’iperattività e il pieno controllo del tempo e degli impegni dei figli. I genitori credono di ricevere consenso dai bambini per questo loro prodigarsi tutti i pomeriggi, sabato e domenica compresi ma, spesso, è la paura di deludere che fa tacere il figlio e lo stringe ancora di più nella gabbia del proprio tempo schizofrenico e irreggimentato.

Iperprotettività

Occorre lasciare che la fantasia e un pizzico di rischio entrino nella vita dei figli: pretendere di isolare i bambini in una gabbia protettiva, significa relegarli in una condizione di sterile iperprotezione e renderli incapaci ad affrontare anche le minime difficoltà connaturate all’età (abilità necessaria per essere in grado di fronteggiare quelle più ardue che verranno in futuro). L’iperprotettività dei genitori, mista all’esasperata ricerca dell’igiene, limita i giochi e la crescita del bambino: questi non acquista la manualità e il contatto con gli oggetti più semplici che lo circondano, perdendo anche odori, sapori, colori, suoni e rumori tipici di un ambiente meno blindato e più naturale. La genitorialità lenta mira a far comprendere come, a monte, ci sia la vita stressata dell’adulto che, una volta divenuto genitore, non fa altro che adeguare il bimbo a queste cattive abitudini e a porlo in altrettanto disagio psicofisico.

Nessuna nuova moda

L’esigenza di rallentare il forcing dedicato ai figli, permette anche di rispettare i loro tempi di apprendimento, di consolidamento e di decantazione delle informazioni; procedure, queste, non identiche per tutti i bambini e per ogni ragazzo, vista la loro natura ancora umana e non robotica. Il paradosso è che anche chi, “illuminato”, vorrebbe sanare in buonafede il rapporto genitori-figli, inconsciamente definisca lo “slow parenting” o “genitorialità lenta” come “ultima tendenza” (forse distratto dall’ammiccante versione inglese). Tale descrizione, non corrispondente, fa il gioco del triste risultato a cui si è pervenuti oggi. In realtà, non si tratta di una nuova moda o di un capriccio di un momento, sollevato da chissà quale mente influente e in voga, ma di un recupero di sani principi che dovrebbero essere oggettivi e radicati in tutti, pur nelle ammalianti tentazioni del mondo moderno. Più che di “nuova tendenza” è opportuno parlare di filosofia, di modello, di comportamento, senza l’aggettivo “nuovo”, in quanto si tratta di concetti e pratiche in uso nel passato.

Marco Managò: