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Siniscalchi: “Ecco cos'è oggi l'antisemitismo”

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Storico, docente di Storia del cinema presso l'Università Lumsa (con numerose pubblicazioni sul tema) e autore di importanti ricerche sui risvolti socio-politici (oltre che culturali) del sentimento antisemita, convogliati nella sua esperienza all'Institute for the study of Global antisemitism and policy (Isgap). Sullo studio dell'antisemitismo (e delle sue diverse connotazioni storiche), il professor Claudio Siniscalchi ha incentrato parte della propria ricerca accademica, analizzando il fenomeno da un punto di vista storico per ragionare sui suoi effetti e le sue connotazioni nel tempo presente. Analisi illustrate nel corso di workshop come Memoria, Ricordo e Vittoria, coordinato dal Centro studi Machiavelli (2018) e Il sonno della ragione, dell'Università Lumsa (2017), organizzato in occasione delle celebrazioni della Giornata della memoria. Un momento di riflessione questo, ma anche un'opportunità per aprire una finestra sul presente: il contesto della Giornata della memoria, ogni volta, corrisponde a un necessario ricordo di ciò che furono gli orrori di un recente passato, tenendo viva la memoria collettiva su uno dei momenti più bui della storia dell'umanità. Altrettanto necessario, però, restare vigili sul contesto presente e sulle connotazioni assunte in tempi odierni del termine antisemitismo. Un sentimento che continua a manifestarsi in forme diverse rispetto al passato ma non meno pericolose: “Ricordare ciò che è stato è fondamentale – ha spiegato a In Terris il professor Siniscalchi – ma se questo non ha una presa sul presente il rischio è che la memoria non serva”.

 

Professor Siniscalchi, la Giornata della memoria è un momento di profonda riflessione sugli episodi del vicino passato. L'antisemitismo, però, è argomento che torna in modo sistematico. Ne esiste una diversa chiave di lettura inquadrata nel contesto sociale di oggi?
“Io da qualche anno mi occupo proprio di questi problemi e lo snodo è quello della Giornata della memoria. Si tratta di un momento importantissimo per riflettere sulla condizione dell'antisemitismo. La mia impressione però, sulla quale si può non essere d'accordo, è che in questa giornata si celebri esclusivamente il passato. Ci si concentra sempre su questo, e sono pienamente d'accordo, ma si dimentica troppo il presente. Ho visto canali che, tutti i giorni, presentano film sulla memoria incentrati sull'Olocausto. Cosa giustissima, ma quasi nessuno si occupa delle tematiche odierne. L'antisemitismo oggi ha un peso o no? Questa è la mia perplessità: si ricordano, giustamente, gli ebrei morti e si dimenticano quelli vivi. Si dimentica che l'antisemitismo sta montando in maniera violentissima”.

In quali connotazioni?
“Questa settimana, alla Sapienza, verrà un professore che parlerà dell'apartheid dello Stato d'Israele nei confronti dei palestinesi. Ora, la parola 'apartheid' è assolutamente fuorviante per il significato che ha ma è ormai un pigmento che entra correntemente nelle polemiche contro lo Stato israeliano, col quale si può non essere d'accordo e al quale si possono fare tutte le critiche che si vogliono. Però, ad esempio, assistiamo al boicottaggio, ogni tanto, dei prodotti di Israele… Queste sono tutte cose che non funzionano. C'è un antisemitismo montante in Europa. E la giornata della memoria dovrebbe far riflettere su ciò che è successo ieri per capire quello che è oggi. Altrimenti che lo facciamo a fare? Il passato è ricordato per capire di non commettere errori sul presente. Ho l'impressione che gli stessi che sono assolutamente impegnati a ricordare il passato, e quindi a celebrare la Giornata della memoria, il giorno dopo sono quelli che attaccano in maniera indiscriminata e antisemita lo Stato d'Israele. Sul quale possiamo avere tutte le riserve che vogliamo, purché non siano sproporzionate come spesso sono”.

Secondo lei il rischio di una ripresa si manifesterebbe in modi diversi rispetto al passato?
“Ho l'impressione che il rischio sia questo: se il ricordo della memoria è soltanto per mettersi l'anima in pace per l'Olocausto, temo non serva a nulla. Dal ricordo di cosa è successo ieri, dobbiamo capire che determinate cose non devono succedere più. L'antisemitismo invece aumenta: la Francia, ad esempio, è un Paese dove questo sentimento è fortemente sviluppato. In Iran, a Teheran, c'è un orologio che fissa l'ora esatta in cui Israele scomparirà. La giornata della memoria ci serve per ricordare Auschwitz, Birkenau, certamente, ma ha una presa sul presente? Io ho l'impressione che si stia vivendo un momento di violentissima ripresa antisemita”.

Questo è inquadrabile su un piano socio-politico o riscontrabile anche in contesti più prossimi alla quotidianità?
“In Francia, i rabbini pregano gli ebrei di non girare con elementi identificativi perché rischiano di essere aggrediti. E qui non se ne accorge nessuno, così come che ci sia stata una costante uscita di cittadini francesi ebrei verso Israele, il Canada, gli Stati Uniti, addirittura da costringere il governo israeliano a predisporre un ufficio apposito per l'accoglienza di cittadini ebrei provenienti dalla Francia. Netanyahu ha fatto un appello agli ebrei francesi, aprendo le porte del Paese. Questo non dice nulla? L'antisemitismo oggi è cambiato, in maniera radicale rispetto al passato e si continua a far finta di non capirlo”.

Cambiato come?
“Noi abbiamo pensato che l'antisemitismo fosse qualcosa legata solamente a coloro che avevano nel corso degli anni '30 aggredito in tutta Europa sistematicamente gli ebrei, cioè i nazisti e i loro complici. Quindi, fondamentalmente, che l'antisemitismo fosse qualcosa legato al rigurgito del neonazismo. Oggi il mondo è diventato più complesso, non è più così. Dimenticare ciò che è stato sarebbe gravissimo ma sarebbe il caso che guardassimo anche un po' al presente. E su questo le posizioni cambiano: quelli che celebrano gli ebrei morti hanno qualche perplessità sugli ebrei vivi. Questa è la mia posizione”.

Riflessi geopolitici ma non solo…
“In questo momento sono particolarmente tesi i rapporti tra Israele e Iran e anche da un punto di vista delle alleanze politiche questa vicenda sta cambiando molto, perché la sistematica e rivendicata aggressività nei confronti di Israele da parte di Teheran è un problema. Questo non rientra nel dibattito comune. La minaccia non del restringimento dei territori ma della scomparsa dello Stato d'Israele ci dovrebbe preoccupare. In Europa, ad esempio, sono anni che si sente parlare dell'ingresso della Turchia nell'Unione. Ma non sarebbe il caso di parlare anche di quello di Israele? Qual è la differenza tra i due Paesi? Poi si può essere contrari o favorevoli su entrambi ma della situazione israeliana non se ne occupa nessuno. Eppure, il sistema politico nel Vicino Oriente che somiglia di più al nostro io ritengo sia quello di Israele”.

In questo tipo di atteggiamento si rintracciano motivazioni politiche o estenderebbe il discorso su un piano, per così dire, antropologico?
“Io ho l'impressione che questa sia una questione di natura politica. Il fatto che i governi siano più o meno vicini a Israele è dato da vicinanze, divisioni. E posso capire che nelle dialettiche degli schieramenti politici possano esserci simpatie più o meno consolidate. Ma io credo che una riflessione seria la dovremmo fare. Tra i Commissari europei di quest'ultima legislatura, ci si è contraddistini più per vicinanza con israele o con il mondo arabo? Non che questo, ovviamente, risponda a connotazioni antisemitiche. Ma ad esempio l'Unesco, negli ultimi anni, si è contraddistinto per scelte avverse a Israele che hanno spinto gli Stati Uniti a uscirne. Queste letture ideologiche che si riflettono nella vita di tutti i giorni sono quelle che non funzionano”.

A questo proposito, ritiene che i recenti episodi di natura antisemita riscontrati ad esempio nel mondo dello sport siano un riflesso di tale coscienza o separerebbe le due questioni?
“Questo tipo di antisemitismo ha ragioni completamente diverse. E' rappresentativo di qualcosa ma credo che reati di questo tipo vadano perseguiti per altre logiche. La confusione non ha mai storicamente aiutato la comprensione. Non che questi episodi vadano dimenticati o ridotti ma vanno affrontati in una sfera tipica della pubblica sicurezza”.

Damiano Mattana: