Si celebra oggi la Giornata Internazionale della Sindrome di Down, un evento riconosciuto dall’Onu, che si svolge in tutto il mondo il 21° giorno del 3° mese dell’anno per indicare l’unicità della triplicazione del 21° cromosoma che causa, appunto, la sindrome di Down. Tra le sfide che le associazioni che stanno affianco alle persone con trisomia 21 affrontano, c’è quella dell’inclusione, ovvero il desiderio che, nonostante la disabilità, possano partecipare, su base di uguaglianza con gli altri cittadini, alla vita della propria comunità di appartenenza e venga eliminata qualsiasi forma di discriminazione e di emarginazione.
L’intervista
Interris.it ne ha parlato con Giancarlo Negro, presidente di Associazione Down Odv, attiva dal 1992 a Torino per volontà di alcuni operatori e di genitori di ragazzi con sindrome di Down per dare delle risposte a tutte quelle famiglie che si sento impreparate nell’affrontare questa sfida e non propriamente supportate dalla struttura sanitaria di quegli anni. Nel corso del tempo l’associazione ha ampliato ed integrato i suoi obiettivi, tenendo conto dei nuovi bisogni di ogni famiglia e ha messo al centro del proprio lavoro lo sviluppo delle potenzialità delle persone con sindrome di Down, con particolare attenzione all’integrazione sociale e scolastica e allo sviluppo dell’autonomia personale.
Presidente, che cosa garantite a chi ha la sindrome di Down?
“Il nostro compito è di intervenire non appena ci viene richiesto dalle famiglie per aiutare queste persone, molto spesso in età molto precoce, a sviluppare le proprie capacità. Perché questo sia possibile proponiamo diversi tipi di attività, da precisi percorsi con i nostri terapisti a momenti più ludici e di socializzazione in cui i ragazzi hanno l’opportunità di stare assieme e venire a contatto anche con il mondo esterno in una prospettiva di autonomia. Inoltre, lavoriamo sulla loro integrazione per prevenire possibili situazioni di disagio e di emarginazione, avviando un intervento integrato tra la vita familiare, le attività scolastiche e quelle che riguardano il tempo libero”.
Come riuscite a raggiungere un buon livello d’integrazione, autonomia e benessere delle persone disabili?
“La Convenzione Onu sui diritti delle persone con disabilità chiarisce che a tutti gli essere umani deve essere assicurato uno stato stato di uguaglianza, di essere integrate nel tessuto sociale, di poter vivere un’esistenza dignitosa e, ove possibile, indipendente. Partendo proprio da questo punto, lavoriamo sulla famiglia perché possa essere una nostra valida alleata, e cerchiamo di portare in superficie le potenzialità che ogni persona ha perché tramite esse possa scoprire la fiducia in se stessa. Noi li mettiamo nella condizione di poter prendersi cura di se stessi e proponiamo attività all’esterno, che vanno dalla semplice pizza in compagnia, al fine settimana fuori porta, alla possibilità di dormire un weekend ogni tanto nella nostra piccola struttura durante il quale ognuno di loro viene responsabilizzato nelle faccende quotidiane”.
L’autonomia di una persona disabile quanto influisce sulla sua autostima?
“Moltissimo perché fa sentire loro che hanno una voce in capitolo non solo all’interno della propria famiglia, ma anche nella società con cui si misurano ogni giorno. Questa presa di coscienza li rende forti nel credere nelle loro potenzialità e li porta a continuare a misurarsi in nuove sfide, fondamentali per il proprio personale percorso verso l’indipendenza, componente fondamentale soprattutto quando i genitori non potranno più garantire la loro costante cura”.
Di cosa ha bisogno una famiglia a cui viene detto che il nascituro è affetto da sindrome di Down?
“La notizia che il proprio bambino avrà una disabilità spaventa chiunque e senza dubbio si tratta di una sensazione legittima e comprensibile. In questi primi momenti sono molti i pensieri che bombardano la mente delle famiglie, a partire da che prospettiva di vita potrà avrà il nascituro, soprattuto quando crescerà e si troverà ad essere, anche visibilmente diverso, rispetto al resto della popolazione considerata nella norma. Da questa prima domanda poi, ne nascono molte altre, come per esempio quella se si sarà all’altezza di affrontare insieme al proprio figlio le sfide che la vita proporrà”.
Come accogliete queste famiglie?
“Il momento dell’accoglienza è uno spazio dedicato all’ascolto. La famiglia che si avvicina a noi e si apre con le proprie paure e speranze viene accolta dalla dottoressa Alessia Gallo, psicologa che da molti anni opera nella nostra struttura, e che cerca di far sentire queste coppie a casa propria. Successivamente viene creato un contatto tra i nuovi arrivati e le famiglie che già frequentano il nostro centro, perché siamo convinti che la loro testimonianza sia preziosa e possa dare delle risposte e delle certezze, molto più di tante nostre parole astratte”.