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Sharenting, genitori esibizionisti per qualche like in più

Lo sharenting combina i due termini inglesi to share (condividere) e parenting (essere genitore) e riguarda la tendenza degli adulti dei nostri tempi, diffusa in tutto il mondo, a pubblicare, per vanità, le fotografie dei propri figli sui social network. Si tratta di un fenomeno enorme che coinvolge tantissimi genitori esibizionisti che, pur di mostrare il proprio pargolo in vetrina, non si pongono alcun limite etico e di privacy. Le fotografie, inoltre, diventano materiale per i pedofili che si aggirano in rete e che, in base ai dati che raccolgono, entrano in possesso di elementi riservati e di pericolosa collocazione geografica.

Il fenomeno

Un genitore “vittima” di sharenting sottovaluta i rischi della sovraesposizione digitale dei figli; non rispetta inoltre la loro immagine che, restando per sempre nel web, potrebbe causare dei problemi nel corso della carriera scolastica e professionale. Tutto questo non avviene soltanto per “colpa” o per errate valutazioni. Occorre, infatti, rimarcare quanto in tale comportamento scellerato degli adulti, occupi un ruolo di primo piano la vanità di alcuni genitori che, pur di essere sempre al centro dell’attenzione, nel pubblicare fotografie personali dei più insignificanti momenti quotidiani, coinvolgano, in questa loro sete di protagonismo, anche i piccoli. Nell’era del perverso uso dei social e nel pieno della moda maniacale del selfie, l’unica legge che conta è quella di avere il maggior numero possibile di “mi piace” ma arrivare a tale “traguardo”, attraverso lo sfruttamento delle fotografie dei figli, è ingiustificabile. Una madre che rivendica in rete (con fotografia pubblicata su Facebook) la partecipazione della figlia a una manifestazione politica, ne fissa, così, il suo schieramento; incurante del fatto che, nel futuro, la ragazza potrebbe optare diversamente ma rimanere “schiacciata” da quell’immagine. I bambini e i ragazzi sono già “profilati” (con un dossier su gusti, tendenze politiche, religiose, ecc.) e posti nel mercato come novelli consumatori; le preferenze di interesse a carattere commerciale, peraltro, non sono le loro ma quelle imposte dai genitori.

I numeri

Come ricordato nella Relazione 2018 del Garante per la protezione dei dati personali, il tribunale di Mantova, per salvaguardare la baby web reputation, ha introdotto un modello di conclusioni congiunte in cui, i genitori che si stanno separando, si impegnano a non pubblicare le fotografie dei figli sui social e a rimuovere quelle esistenti (ordinanza del 19 settembre 2017). In un articolo del Corriere della Sera, si cita un sondaggio effettuato l’anno scorso dalla banca inglese Barclays con i seguenti risultati “[…] entro il 2030 lo sharenting sarà responsabile dei due terzi dei furti d’identità commessi online ai danni di persone giovani […] il 75% dei genitori ha condiviso immagini dei loro figli rivelando dettagli personali utili ai criminali”. Le preoccupazioni dei genitori si rivolgono solo alle eventuali sanzioni (come comminato dall’ordinanza del 23 dicembre 2017, procedimento 39915/2015 del Tribunale di Roma, in cui l’importo massimo può raggiungere i 10.000 euro) nelle quali incorrerebbero nel pubblicare fotografie dei figli sul web. Il loro timore, quindi, è più di carattere legale, personale ed è limitato poiché non considera i numerosi rischi (pedofilia, dossieraggio, immagine compromessa) dei figli.

Le reazioni

Alcuni bambini, nel pieno dell’ingenuità dei pochi anni, apprezzano questa loro “vetrina” e questa piccola fama condita di tanti like da parte di amici e parenti; altri, più grandi, cominciano a nutrire dubbi sull’opportunità di essere nel web ma non hanno sempre la forza di evidenziarlo al genitore. In alcuni, casi, tuttavia, la reazione del piccolo è traumatica e produce gesti di rifiuto e di chiusura (al confine anche con il cyberbullismo), con risentimento nei confronti del genitore così poco rispettoso della sua privacy. Si produce così, una clamorosa contraddizione: bambini visibili in tutte le loro età nel mondo digitale ma, di fatto, chiusi mentalmente e fisicamente al mondo reale, per colpa del genitore vanaglorioso. L’indignazione, all’esterno, che riveste lo sharenting è diffusa; rimane, però, in contrasto con i dati reali perché non ne scaturisce una sensibilità di pari livello, sedimentata nelle coscienze di tutti. Il fenomeno si espande, anche a causa delle poche campagne di sensibilizzazione. Nei media, infatti, non si notano molti approfondimenti in merito al rispetto dell’identità digitale dei bambini. Una campagna tambureggiante, di aperto contrasto allo sharenting, ne produrrebbe, certamente, una limitazione e convincerebbe anche i genitori più edonisti a pavoneggiarsi attraverso fotografie proprie e non su procura con quelle dei figli.

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