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Se lo stress da lavoro diventa patologia

Lo stress lavoro-correlato è la risposta patologica del dipendente alla richiesta di prestazioni professionali sempre più pressanti che oltrepassano il limite delle possibilità umane. È diffuso soprattutto nei Paesi più industrializzati, come conseguenza della moderna logica economica rivolta quasi esclusivamente al profitto. Ciò comporta una situazione di stress, di perdita di concentrazione e di forza fisica, con ripercussioni sulla qualità e quantità delle prestazioni. Una condizione non sempre percepita dal datore di lavoro che sottovaluta l’insorgenza di malattie psicosomatiche (e delle relative cause), la diminuzione delle motivazioni e del senso di appartenenza nonché il rischio maggiore di incappare in infortuni. A ciò si aggiungano la spinta all’assenteismo e al presenzialismo (il dipendente è regolarmente al posto di lavoro ma è quasi improduttivo).

L’insorgere della patologia

In una società e in un sistema economico che volgono le attenzioni all’utile e al contenimento dei costi, in cui il benessere fisico e psichico dei lavoratori non è proprio in cima alla lista dei pensieri, è inevitabile il contraccolpo: da un lato le richieste sempre più pressanti del datore di lavoro, dall’altra il dipendente che non riesce a soddisfarle. I disturbi tipici di questa condizione sono quelli a livello nervoso, cardiovascolare e gastrointestinale con conseguenze sulla qualità della vita, del sonno e dell’alimentazione. Una prima importante definizione dello stress lavoro-correlato è quella riportata dall’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro che lo evidenzia “nel momento in cui le richieste provenienti dall’ambiente lavorativo eccedono le capacità dell’individuo nel fronteggiare tali richieste”. Attraverso gli articoli 32, 35 e 41, la Costituzione afferma il diritto alla salute dell’individuo e alla tutela del lavoratore nonché il fine sociale dell’economia pubblica e privata. Il Codice Civile, articolo 2087, conferma i principi costituzionali e vincola l’imprenditore a“tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. L’“Accordo quadro europeo sullo stress sul lavoro”(Bruxelles 8/10/04) ha definito lo stress lavoro-correlato, all’articolo 4: “L’individuazione di un problema di stress da lavoro può avvenire attraverso un’analisi di fattori quali l’organizzazione e i processi di lavoro (pianificazione dell’orario di lavoro, grado di autonomia, grado di coincidenza tra esigenze imposte dal lavoro e capacità/conoscenze dei lavoratori, carico di lavoro, ecc.), le condizioni e l’ambiente di lavoro (esposizione ad un comportamento illecito, al rumore, al calore, a sostanze pericolose, ecc.), la comunicazione (incertezza circa le aspettative riguardo al lavoro, prospettive di occupazione, un futuro cambiamento, ecc.) e i fattori soggettivi ( pressioni emotive e sociali, sensazione di non poter far fronte alla situazione, percezione di una mancanza di aiuto, ecc.)”.

Gli obblighi delle aziende

Il D.Lgs. n. 81 del 9/04/08 ha previsto il rischio dello stress lavoro-correlato, individuando, per il datore di lavoro, due obblighi: elaborare il Documento di Valutazione dei rischi (Dvr) e incaricare il Responsabile del Servizio di Prevenzione e Protezione (Rspp). Altro strumento normativo è la circolare del ministero del Lavoro del 18/11/10, in cui sono previste le tempistiche di attuazione: l’obbligo, per le aziende, di valutare il rischio dello stress lavoro-correlato dal primo gennaio 2011, compilando il Dvr ogni 3 anni (salvo motivazioni diverse e, di conseguenza, scadenze più brevi). La normativa prevede anche un lungo e dettagliato elenco di sanzioni da comminare, tra cui, a titolo esemplificativo, la mancata compilazione del Dvr che espone il datore di lavoro a una multa da 2.500 a 6.400 euro e, nei casi più gravi, anche l’arresto per un periodo che oscilla tra 3 e 6 mesi. Altro adempimento previsto per il datore di lavoro è quello di assicurare un’idonea informazione presso i propri dipendenti, anche attraverso la predisposizione di specifici questionari e di appositi corsi. Il concetto è nel dimostrare che l’azienda e il proprio responsabile abbiano attuato (e documentato) tutte le misure possibili per prevenire lo stress, perseguendo il cosiddetto “Benessere lavorativo”.

L’attuale modello nuoce a tutti: lavoratori ed aziende

Sono lontani i tempi di Adriano Olivetti (presidente dell’omonima azienda nella prima metà del secolo scorso, fino al 1960) e della sua concezione umanistica e solidale, in cui l’imprenditore “illuminato” anteponeva il benessere dei dipendenti al profitto economico. I datori di lavoro, in tale situazione di disagio, non comprendono come, dinanzi all’apparente vantaggio di contenimento dei costi, alla lunga i risvolti economici, in tema di qualità, di risultati e di spese (anche giudiziarie) ritornino, invece, a boomerang anche sull’azienda stessa. I primi che assimileranno tale concetto, beneficiandone a livello umano e materiale, saranno gli apripista per una nuova concezione del lavoro e dell’economia, per una svolta storica che possa attirare anche l’imprenditore più refrattario.

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