Roma è una città sempre più povera e diseguale. È quanto è emerso nel nuovo rapporto “Le città parallele” redatto da Caritas Roma. Il primo dato che colpisce è quello relativo al numero crescente delle persone, 25 mila, che nel corso del 2022 ha chiesto aiuto ai centri di ascolto Caritas, disseminati nelle numerose parrocchie capitoline. Inoltre, quasi il 15% dei richiedenti aiuto, lo ha fatto per la prima volta e ciò significa che si tratta di nuovi poveri, vittime del post-pandemia, dell’inflazione e del caro energia che si abbattuto sul nostro Paese.
L’intervista
Dietro alla povertà molto spesso si nascondono delle profonde disparità tra la popolazione. Interris.it ha commentato i dati emersi dal rapporto con Alberto Colaiacomo, responsabile dell’area studi e comunicazione della Caritas di Roma.
Signor Colaiacomo, perché lo avete chiamato “Le città parallele”?
“La motivazione è molto semplice. Attraverso anche i dati dell’ufficio statistico del Comune ci siamo accorti che, a causa delle disuguaglianze, esistono due Roma. Una di queste è la ricchezza che è detenuta dal 2% dei romani, mentre il 43% delle famiglie ha un reddito inferiore ai 15mila euro annui. Un’altra disuguaglianza è poi quella geografica e indica che le persone che vivono in centro hanno determinati servizi e godono di un benessere maggiore rispetto a chi invece abita in periferia, dove aumentano degrado e tasso di povertà”.
Chi sono i poveri di Roma?
“Indipendentemente dal municipio, gli over 75 hanno redditi superiori ai 35 mila euro annui e a volte vivono di rendite. I giovani invece, sono la fascia della popolazione più povera perché non hanno un lavoro stabile e non riescono nemmeno ad acquistare la prima casa. Queste persone possono diventare i nuovi poveri, come lo sono anche tutti coloro che a causa della pandemia hanno perso il lavoro o chi non è riuscito a reagire all’aumento del caro vita causato dalla crescente inflazione o dall’aumento del prezzo per l’energia. A questi poi si sommano i tanti stranieri presenti nel nostro Paese, a cui una volta usciti dal centro accoglienza, non sapendo dove andare, la strada sembra rimanere l’unica soluzione possibile”.
I dati ci dicono però che a Roma il reddito medio pro capite è aumentato. Come si spiega allora la povertà?
“Nella capitale si è alzato di 1.100 euro e nello stesso momento è aumentata di poco più dell’1% anche l’occupazione. Il problema nasce però dal fatto che l’inflazione ha eroso tutto questo rialzo e a parità di acquisto i redditi sono diminuiti dello 0.6%. Inoltre, per quanto riguarda l’occupazione possiamo vedere che il 20% degli occupati ha dei contratti atipici, ovvero precari e un quarto dei romani, cioè il 26%, svolge dei lavori sottodimensionati, non all’altezza della formazione scolastica”.
Quanto tutto ciò si ripercuote su una povertà di tipo alimentare?
“Certamente molto perché se non ci sono soldi, di conseguenza manca anche il cibo. La richiesta di sostegno alimentare continua a rappresentare il principale intervento e riguarda il 69,7% delle persone incontrate. Nelle tre mense sociali sono state accolte 9.148 persone, 4.092 delle quali per la prima volta. Tra questi anche 698 minori (il 7,6% del totale) e si tratta soprattutto di minori stranieri non accompagnati che noi cerchiamo anche di intercettare e inserire nei nostri progetti”.
Questa povertà come si ripercuote nella sanità?
“Il sistema sanitario nazionale è intasato e non riesce ad espletare le richieste in tempi ragionevoli. Chi ne ha la possibilità si riversa in strutture private, ma chi vive in una situazione di povertà non può permetterselo e attende molti mesi per poter accedere al servizio richiesto. Inoltre, emerge come prioritaria la situazione delle persone con problemi di salute mentale, per la quale bisognerebbe convocare la conferenza delle parti che, oltre a Comune e Regione, coinvolga anche i familiari dei malati e le associazioni di volontariato”.