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Ramonda: “Ecco la verità sulle case famiglia”

Da quando sono stati chiusi i vecchi istituti, molte strutture si fregiano del nome di casa famiglia, che però non hanno un papà e una mamma – figure invece presenti nelle nostre case famiglia – ma operatori a turno, che oltre a costare molto di più, non rispondono al bisogno primario del minore di avere una famiglia“. Così Giovanni Paolo Ramonda, noto per essere il successore di don Oreste Benzi, descrive le case famiglia che caratterizzano l'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII, in seguito alla recente polemica scoppiata dopo le parole del vicepremier e ministro dell'Interno, Matteo Salvini che ha proposto una “una commissione di inchiesta sulle case famiglia che sono un business che lucra sulla pelle dei bambini arrivando a costare fino a 400 euro al giorno”. Giovanni Paolo Ramonda, è il responsabile generale dell'Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII. In Terris lo ha intervistato. 

La biografia

Giovanni Paolo Ramonda nasce a Fossano, in provincia di Cuneo il 3 maggio 1960. Nel 1980, apre insieme a Tiziana Mariani, che nel 1984 diventerà sua moglie, la Casa Famiglia di Sant'albano Stura, in provincia di Cuneo, nella quale vive con i suoi tre figli naturali e 8 accolti. Dal 1998 è vice responsabile dell'associazione e, dopo la morte di don Oreste Benzi il 2 novembre 2007, assume ad interim le funzioni del responsabile generale. Il 13 gennaio 2008, nel corso dell'assemblea straordinaria convocata al Palacongressi di Rimini, viene eletto responsabile generale. Ha conseguito il titolo di studio di Magistero in scienze religiose presso la facoltà teologica di Torino, la laurea di Pedagogia con indirizzo psicologico presso la facoltà di Magistero di Torino, il titolo di consulente sessuologo, insieme alla moglie Tiziana, presso l'istituto di sessuologia clinica di Torino. Giornalista e pubblicista, è attualmente direttore e responsabile dei due periodici editi dall'Apg23: il mensile “Sempre” e il bimestrale “Pane Quotidiano”. E' autore di numerosi saggi: La preghiera dei poveri (Ed. Esperienze), Una Comunità che condivide (Ed. Esperienze), Nuovi modelli educativi familiari (Ed. Sempre), È festa senza fine (Ed. Gribaudi), Perché hai abusato di me (Ed. Esperienze), Ama e fa’ ciò che vuoi (Ed. Esperienze), La terapia della realtà (Ed. Esperienze), La qualità della relazione (Ed. Esperienze), Il soffio, la barca, le vele: i movimenti e le nuove comunità nella Chiesa e 100 risposte sulla Comunità Papa Giovanni XXIII (Ed. Sempre).

Come hai conosciuto l'Apg23?
“Grazie all'esperienza del servizio civile, nel 1979. Mi avevano parlato dell'associazione e sono andato a Rimini a conoscere don Oreste. Ho fatto un periodo di esperienza nella casa famiglia di Coriano (aperta nel 1973) e, in seguito abbiamo aperto la prima struttura del Piemonte”. 

Quando e perché hai deciso di entrare nell'associazione?
“Con il passare del tempo ho percepito che era una comunità che cercava di vivere veramente il Vangelo, condividendo la vita con i poveri, di essere dentro la Chiesa e camminare con quelli che sono i nostri pastori, il Papa e i vescovi, e tutto il popolo di Dio. La comunità, soprattutto, cerca di far sì che i poveri abbiano un posto privilegiato e diventino i protagonisti dell'annuncio del messaggio di Gesù”.

Ci puoi raccontare come era la tua vita prima di questa scelta?
“Sono entrato a far parte dell'Apg23 quando avevo 19 anni. All'epoca vivevo con i miei genitori, studiavo all'università, facevo sport. Tutte cose normali e molto belle ma che mi hanno preparato ad essere più aperto ad un'incontro responsabile con la vita, a impegnarmi per spenderla bene. Sentivo che era importante non sciuparla, ma cercare di donarsi ogni giorno. Queste sensazioni le ho sempre avute e hanno contribuito al mio cammino di preparazion per poi entrare nell'associazione”.

Hai conosciuto don Oreste Benzi, la cui fase di beatificazione è stata aperta il 27 settembre 2014. Hai un ricordo particolare di lui che vuoi condividere?
“Era capace di accogliere costantemente, di valorizzare i talenti di ognuno, di dare fiducia, ma anche di richiamare severamente se ce n'era bisogno. Più che singoli episodi ho in mente una sua dimensione molto umana e ricca. Era un carismatico, un leader ma non cercava mai di primeggiare, anzi, voleva che fosse l'associazione ad emergere e non la sua persona. Tutti questi aspetti, insieme, formavano la sua dimensione più bella”.

Da quando don Oreste è salito al cielo, nel 2007, tu lo hai succeduto alla guida dell'Apg23. Cosa comporta ricoprire questo ruolo?
“E' soprattutto un servizio, una chiamata. Una responsabilità che sempre di più sento di portare indegnamente, però ognuno di noi deve fare la sua parte. Ho la consapevolezza che ce la devo mettere tutta, un po' come un somaro quando va in alta montagna e si trova su sentieri difficili e rocciosi: è fatica andare avanti, ci si vorrebbe fermare, ma stimolato, anche dalla stessa comunità, proseguo il cammino. Mi viene in mente un libro del cardinal Roger Etchegaray che si intitola 'Io vado avanti come un asino'. Ecco tiro avanti come un asino, però contento”.

Tu e tua moglie siete mamma e papà di una casa famiglia.Cosa significa?
“Abbiamo aperto la nostra casa oramai quaranta anni fa'. Sicuramente è uno dei regali più belli che il Signore ci ha fatto. Vivere come sposi l'apertura alla vita, prima con l'arrivo dei nostri figli naturali che sono tre. Due delle nostre figlie sono sposate e abbiamo otto nipotine. Poi con l'arrivo di altri otto ragazzi, arrivati quando erano piccoli, alcuni anche con disabilità gravi. Sono veramente la nostra famiglia, il dono che Dio ci ha fatto. Non finiremo mai di ringraziare il Signore per questa vita che ci ha donato. Estremamente impegnativa, anche a causa degli anni che passano e dei primi acciacchi che iniziano a farsi sentire, ma veramente una vita benedetta”. 

Quali sono le caratteristiche principali delle case famiglia dell'Apg23?
“Prima di tutto si fa veramente famiglia con le persone o i bambini che vengono accolti. Non c'è orario, non c'è turno di riposo, si fa tutti insieme, ventiquattro ore su ventiquattro, anche nella salute e nella malattia, proprio come in qualsiasi famiglia normale. Ovvio che il papà e la mamma hanno la responsabilità genitoriale, ma nessuno viene lasciato indietro, tutti vengono valorizzati e ognuno ha il suo compito, anche piccolo, ma che è indispensabile per il funzionamento della casa. E' una 'struttura' inserita sul territorio, non chiusa, ma aperta al mondo della scuola, della parrocchia e delle associazioni culturali”.

In questi giorni è scoppiata una polemica sollevata dalle parole del vicepremier e ministro dell'interno, Matteo Salvini, su adozioni e case famiglia e dalla proposta di legge per istituire una nuova commissione parlamentare di inchiesta sulle attività di affidamento di minori alle comunità. Cosa ne pensi?
“Credo che il vicepremier Salvini ignori totalmente cosa siano le case famiglia. Si tratta di presidi socio-sanitari riconosciuti dallo Stato tramite delle autorizzazioni regionali. Intorno a queste strutture gravitano commissioni di vigilanza che vengono periodicamente a fare dei controlli, operatori e assistenti sociali e giudici con i quali si lavora e controllano il corretto inserimento dei ragazzi da loro inviati. Sono rimasto stupito dalle sue affermazioni, soprattutto dal fatto che ha parlato di business e delle cifre delle rette che secondo lui verrebbero corrisposte. Onestamente bisogna dire nome e cognome di quelle case che percepiscono questi importi, ma sicuramente non le troverà. Noi riceviamo rette da 50-60 euro per bambini con gravi patologie. I nostri bilanci sono pubblici e visionandoli si evince che una persona su due è accolta gratuitamente. Quindi mi verrebbe da dire a Salvini che siamo noi a fare elemosina allo Stato, altro che lucrare”.  

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