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Quanti casi Lambert ci sono in Italia?

In principio fu Eluana Englaro. Morta a trentotto anni nel febbraio 2009 dopo averne passati diciassette in stato vegetativo a seguito di un incidente stradale, la donna lombarda suscitò in modo involontario un ampio e veemente dibattito in Italia sul tema dell’eutanasia. Quella stessa passione, con fronti contrapposti che si accapigliano idealmente, arde oggi nel cuore della società civile francese, nei tribunali transalpini fino ad estendersi nella Corte europea dei diritti dell’uomo. Ad innescarla il caso di Vincent Lambert, 42enne tetraplegico dal 2008 (anche lui a causa di un incidente d’auto) ricoverato all’ospedale Chu Sebastopol di Reims. Lunedì scorso i genitori hanno diffuso un comunicato che è come una pietra tombale sulla strenua battaglia che per undici anni hanno portato avanti per salvare la vita del figlio, impedendo che medici e giudici gli togliessero alimentazione e idratazione. Hanno scritto che “questa volta è finita”, facendo intendere che la sospensione dei trattamenti iniziata lo scorso 2 luglio porterà Vincent verso l’epilogo della morte.

I numeri in Italia

Epilogo affine sopraggiunge, per cause naturali, in molti altri casi simili a quello del 42enne francese. In Francia sarebbero circa 1.700 i malati che vivono una condizione analoga a quella di Lambert. E in Italia? Secondo uno studio reso noto nel 2017, in occasione del 17esimo Congresso Nazionale della Società Italiana di Riabilitazione Neurologica, nel nostro Paese sono 250mila le persone che ogni anno entrano in coma per incidenti stradali o sul lavoro, per malattie o intossicazioni. Uno su tre – si legge sul Quotidiano Sanità – “ne esce indenne, ma per molti di loro il coma evolve in stato vegetativo, che diventa persistente dopo i tre mesi”. E sarebbero oggi tremila gli italiani in stato vegetativo, assistiti in cliniche ed ospedali, oppure dai familiari nelle proprie abitazioni. Si tratta di persone che apparentemente non reagiscono, riversi su un letto o su una sedia a rotelle. Eppure respirano, talvolta aprono gli occhi, li muovono, in certi casi reagiscono ad input esterni. Il loro cuore batte. I familiari passano ore interminabili vicino a quei letti che sembrano trappole, in estenuante attesa di ricevere un gesto che riaccenda la speranza. In alcune occasioni quella speranza si compie.

Max Tresoldi: coma e ritorno

È il caso di Max Tresoldi, entrato in coma il 15 agosto 1991 dopo essersi ribaltato con la sua auto. Il cervello appare compromesso, i medici non gli danno possibilità di un risveglio, ma la madre confida comunque in una svolta. Passa anni a curarlo, trasportandolo da un ospedale all’altro senza che lui si svegli. Poi, la sera di Natale del 2000 il fatto inopinato: la mamma rimbocca le coperte al figlio come fa ogni sera, quando lui da solo si fa il segno della croce. È il primo significativo gesto di recupero di Max. Poi inizia anche a parlare. “Io sono sempre stato qui, vi ascoltavo e vedevo tutto”, ha confidato lui stesso nel 2012 in un’intervista a Tempi. Una storia straordinaria, che gli stessi medici hanno ritenuto incredibile. E che la mamma Lucrezia Povia Tresoldi ha raccontato, insieme ai giornalisti Lucia Bellaspiga e Pino Ciociola, nel libro “E adesso vado al Max! Massimiliano Tresoldi, 10 anni di ‘coma’ e ritorno” (ed. Ancora, 2012).

Il caso di Emanuela Lia

Una vicenda, quella di Max Tresoldi, che per molti versi ricorda quella di Emanuela Lia. Anche lei giovane vittima di un incidente stradale occorso al ritorno da momenti passati in compagnia degli amici, nel suo caso per festeggiare il capodanno del 1993. La giovane entra in coma e le vengono dati dai medici pochi mesi di vita. Ma i genitori – come ha recentemente raccontato il papà Cesare Lia ad In Terrisrifiutano l’idea che per la figlia non ci sia più nulla da fare. E le circostanze danno loro ragione: Emanuela continua a vivere e dopo due anni esce dal coma vegetativo. La morte sopraggiunge il 24 maggio 2015, dopo ventidue anni di lotte con l’infermità ed anche di progressi. “L’ho cresciuta quando era bambina – le parole del papà Cesare ad In Terris – e poi l’ho ricresciuta di nuovo per altri ventidue anni, fino al suo ultimo sospiro”. È stata un’esperienza forte, dall’epilogo tragico, ma di “grande arricchimento umano e spirituale”, osserva Cesare Lia. Un arricchimento che non ci sarebbe stato, se avesse prevalso la stessa logica che ha mosso la mano di chi, oggi in Francia, ha sospeso i trattamenti a Vincent Lambert.

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