Quattro persone fermate dai finanzieri del Gico del Nucleo di polizia economico-finanziaria di Palermo. Il sospetto: affiliazione a un'associazione a delinquere transnazionale, attraverso la quale si favoriva la tratta degli esseri umani, l'immigrazione clandestina e, infine, lo sfruttamento della prostituzione. L'ennesimo quadro drammatico che le Forze dell'ordine stanno cercando di rendere meno opaco: fra i fermati, oltre a un uomo italiano, ci sarebbe anche una donna nigeriana, due elementi di un'organizzazione che aveva impiantato le sue radici anche in altre regioni, dalla Campania alla Lombardia, colpita con una serie di azioni concluse con l'individuazione e l'arresto di colui che era ritenuto il capo, un rifugiato politico bloccato nelle vicinanze dell'aeroporto di Orio al Serio, nel bergamasco.
Il “reclutamento”
La notizia è stata riportata dal quotidiano Il Mattino, secondo il quale i vari blitz delle Fiamme gialle non sono stati altro che la punta dell'iceberg di un'indagine complessa che ha consentito di smantellare un giro di criminalità che, dalla Nigeria, si era ramificato in Libia e anche in Italia, adottando una strategia estremamente crudele per “reclutare” le giovani donne da immettere nel racket dello sfruttamento: le ragazze, illuse dalla promessa di un lavoro in Italia, erano costrette ad assumere un importante debito pari a 30 mila euro, somma spacciata come copertura delle spese di viaggio e per l'avviamento al lavoro. In questo contesto, l'avviamento alla prostituzione era solo l'ultimo passaggio: dapprima, secondo gli inquirenti, le giovani venivano assoggettate attraverso alcuni rituali voodoo, indicati come “garanzia” del debito; poi il trasferimento in Libia e, dopo l'imbarco per l'Italia, la prosecuzione di un calvario che, per loro, sembrava davvero senza via d'uscita.
L'organizzazione
Le giovani (ma anche giovanissime) nigeriane, erano quindi costrette a vendere il proprio corpo per riscattare, in modo progressivo, il debito contratto per arrivare in Italia, con la prospettiva di arrivare a ottenere la libertà e scongiurare qualsiasi ritorsione su di loro o sui loro familiari rimasti in Nigeria. L'organizzazione, a quanto pare, vedeva a capo una “maman”, una “donna crudele” come l'hanno definita le ragazze che, utilizzando la violenza e le minacce, avviava le giovani alla prostituzione, coadiuvata da due uomini, residenti rispettivamente in Campania e in Lombardia, più un terzo, un 78enne che, con il suo taxi, accompagnava le giovani donne nei luoghi del mercimonio che, per queste ragazze, era anche un luogo tortura, costrette a subire passivamente e assoggettate dalla paura le regole di una rete di sfruttatori.