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Perché lui sì e io no?

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L'invidia stermina perché non tollera che un altro abbia qualcosa che io non ho. L’invidioso soffre sempre perché il suo cuore desidera la morte degli altri, quindi è sofferente”, sostiene  papa Francesco. Per l'invidioso, la felicità altrui è fonte di personale frustrazione. Per questo l’invidioso sminuisce i successi altrui e li attribuisce alla fortuna o al caso oppure sostiene che siano frutto di ingiustizia.

Una cronica insicurezza

Nel libro “Invidia: veleno mortale. Perché lui sì e io no?” fra’ Emiliano Antenucci e don Aldo Buonaiuto spiegano il motivo per il quale, tra i veleni dell’anima, l'invidia abbia una particolarità e cioè intossica sia chi la prova sia chi ne è l’oggetto. Invidiare equivale a negare il proprio valore proiettando sul prossimo una cronica insicurezza, una mancanza di autostima e, in ultima analisi, l’assenza di una corretta lettura di ciò che stiamo vivendo. Pagina dopo pagine ne scaturisce un denso, illuminante viaggio nella profondità insondabile dell’animo umano, con il sostegno delle Scritture e della concreta esperienza pastorale sul campo. “Dal serpente dell’Eden passando attraverso Caino e i fratelli di Giuseppe, fino ad arrivare a Davide, al Battista e alla crocifissione di Gesù, c’è un filo rosso che attraversa le  Scritture  e  i  miti  fondativi  dell’antropologia  universale: l’invidia – evidenzia don Buonaiuto, sacerdote di frontiera della Comunità Papa Giovanni XXIII -. Tra i veleni dell’anima ha una particolarità: intossica sia chi la prova sia chi ne è l’oggetto. Invidiare equivale a negare il proprio valore proiettando sul prossimo una cronica  insicurezza,  una  mancanza  di  autostima  e,  in  ultima analisi, l’assenza di una corretta lettura di ciò che stiamo vivendo. Perché è qui la questione fondamentale”.

Devastante contagio

Nell’antica Grecia, sottolinea don Buonaiuto, i filosofi esortavano a non invidiare mai nessuno finché è in vita, perché nessuna esistenza è immune dalla sofferenza e dalla ridondanza del dolore: “Chi  invidia  non  conosce  davvero  l’invidiato  e  soprattutto riversa su di lui ciò che non riesce a miglio-rare in se stesso. Purtroppo questa pianta malefica attecchisce in qualunque contesto sociale e umano e neppure il  mondo  cattolico  è  immune  da  un  simile,  devastante contagio”. E anche le vite dei santi sono “costellate di palesi manifestazioni dell’invidia nei  loro  confronti”. Lo scrittore William Arthur Ward invocava Dio affinché fosse “benedetto colui che ha imparato ad ammirare, ma non invidiare, a seguire ma non imitare, a lodare ma non lusingare, a condurre ma non manipolare”, mentre per il saggista Martin Louis Amis “l’invidia non arriva mai al ballo vestita da invidia, arriva vestita da qualcos’altro: ascetismo, standard elevati, buonsenso”. Ed è utile rileggere quanto ha scritto il cardinale Gianfranco Ravasi sul disprezzo e l’invidia il 26 giugno 2003 nella sua rubrica per il quotidiano Avvenire. “Guardando bene, si scopre che nel disprezzo c'è un po' di invidia segreta- osserva-. Considerate bene ciò che disprezzate e vi accorgerete che è sempre una felicità che non avete, una libertà che non vi concedete, un coraggio, un'abilità, una forza, dei vantaggi che vi mancano, e della cui mancanza vi consolate col disprezzo”.

Effetti diabolici

Sono realmente diabolici gli effetti di chi si abbandona all’istintività dell’invidia. “Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi gli uni gli altri”, raccomanda San Paolo ai Galati. L’invidia, quindi, come il male più profondo dell’anima, ma anche di una società che si fa guerra al suo interno, si ferisce e implode, tradendo e rinnegando sé stessa. E Papa Francesco condanna “l’ufficio dei chiacchieroni”, “l’erba cattiva che sta germogliando dentro di noi”, “le false accuse e la malizia con le quali si vuole distruggere in modo premeditato la buona fama dell’altro, per invidia della sua bontà”. Hans Urs von Balthasar, il grande teologo considerato uno dei precursori del Concilio Vaticano II, spiegava spesso, nei suoi testi, la presenza di quel limite, cioè della tenebra da cui non si vuole uscire e della prova dell’esistenza umana che ha toccato anche Gesù e che, proprio perché Lui stesso l’ha sperimentata, ha offerto la dimostrazione di poterla superare anche a noi: così come Gesù è sceso nel sepolcro e ne è uscito, così anche noi abbiamo la possibilità di farlo, seguendo la Sua via. Oggi la via di Cristo oggi si manifesta attraverso le persone più semplici, quelle che ogni giorno sanno tendere la mano al prossimo, che sanno riconoscere il bene dal male. Occorre risvegliare la propria coscienza guardando al mistero pasquale, proponendoci di avere il coraggio di dare una svolta.


La copertina del libro “Invidia: veleno mortale – Perché lui sì e io no?”

Giacomo Galeazzi: