Fare il volontario oggi è una scelta un po’ controcorrente. Spendersi per gli altri e donare il proprio tempo è una ricchezza.Tante sono le realtà tra cui scegliere per mettersi in gioco. L’Associazione regionale volontari assistenza sanitaria (Arvas) è una di queste. Il presidente Silvio Roscioli ci racconta l’esperienza di chi opera negli ospedali, tra i sofferenti e, spesso, tra quelli che la malattia la vivono da soli. Non basta avere “buon cuore”, serve una marcia più per farsi carico del prossimo, sostenerlo, aiutarlo, essere al suo servizio.
Nonostante l'ingente numero di associazioni di volontariato si parla di crisi del settore: perché?
“Perché la ricerca di visibilità mediatica prevale sui valori e perché c’è la tendenza a managerializzare le organizzazioni facendo leva sull’efficientismo anziché sull’efficienza”.
La recessione degli scorsi anni ha contribuito a ridurre il numero dei volontari?
“Questa è una strana dicotomia: in realtà la crescita dei bisogni dovrebbe far aumentare la prossimità, ed invece accade il contrario. Ma non credo per necessità economiche quanto per la cronica mancanza di valori. La dignità della persona non è spesso vista come un bene a cui mirare ma piuttosto come una bandiera da sventolare all’occorrenza”.
Quanti sono in media coloro che abbandonano il percorso?
“Nell’Arvas il calo annuale è fisiologico (circa il 14%), ma ampiamente compensato dai nuovi iscritti. In altre associazioni mi risultano percentuali molto alte. Ma il problema non è tanto quanti abbandonano, ma piuttosto quanti sono iscritti solo sulla carta; sempre di più rispetto a quelli che effettivamente operano. In sostanza, aumentano le associazioni ma diminuiscono le ore di servizio”.
Spesso il volontariato si sostituisce allo Stato, è così?
“In alcuni casi è così, in Arvas certamente no. Noi rappresentiamo quel segmento di presenza senza il quale i progetti di umanizzazione della degenza sarebbero impensabili. Spesso la carenza di personale rende necessaria la presenza dei volontari, in ospedale c’è molto lavoro da svolgere e il personale paramedico non ce la fa a stare dietro a tante necessità individuali”.
L’Arvas è una associazione che si occupa di assistenza sanitaria, dove operate?
“In quasi 40 Strutture della Regione Lazio, pubbliche o accreditate. Per quanto riguarda gli ospedali siamo presenti al Policlinico Umberto I al San Giovanni, al Sant’Eugenio, al Sant’Andrea, al san Filippo Neri…..”
Che tipo di assistenza fate?
“Sinteticamente: la persona al centro; è un’assistenza di tipo psicologico attraverso un costante ascolto attivo ed un aiuto nelle piccole funzioni quotidiane (assunzione dei pasti, piccola pulizia personale, ecc.), che varia a seconda delle necessità”.
Quanti sono i volontari operativi sul territorio?
“Oltre 1.500 volontari effettivi, cioè che operano accanto al paziente e ai suoi familiari”.
Cosa contraddistingue l’Arvas dalle altre associazioni che operano nella sanità?
“Innanzitutto la garanzia di presenza ed il rispetto di regole precise, oltre ad una formazione attenta che non è solo iniziale, ma permanente. Facciamo dei corsi di formazione, con personale qualificato, medici, infermieri, psicologi, dopo di che il futuro volontario segue un periodo di affiancamento con un tutor. Alla fine di questo iter sostiene un colloquio e infine si decide per la conferma. Posso dire che non tutti arrivano al termine. Si viene messi alla prova sul campo. È una faccenda seria”.
Cosa chiedete ai vostri volontari?
“Senso profondo di umanità, tenerezza nell’approccio, disponibilità, convinzione nel considerare l’altro un fratello, rispetto della dignità di ogni essere umano. La gratuità è il segno distintivo del volontario, il dono è la qualifica morale della sua azione”.
State proponendo ai giovani l'alternanza scuola-lavoro. Cosa chiedete loro?
“Il senso di appartenenza ad un consesso civile che ha bisogno di loro. ll rispetto della persona, l’invito ad essere protagonisti già in famiglia e poi a scuola e fra gli amici, il coraggio delle idee e delle motivazioni personali, la ricerca di un dialogo sereno e franco. Far comprendere ai ragazzi che agire da attore e non comparsa nella propria vita, significa dare un contributo di miglioramento, produce speranza, induce atteggiamenti di fiducia nel futuro, soprattutto stimola la progettualità, scuote dall’immobilismo. Il volontario, in particolare se giovane con la sua testimonianza annuncia un mondo che può essere migliore, più umano, più solidale, più giusto, più ricco di amore, disinteressato e gratuito”.