L'allarme sull'uso inappropriato del web spesso considera il mondo digitale come un grande mare a cielo aperto dove è difficile orientarsi. La metafora è in parte vera, perché non si contempla, in quest'analisi, l'abisso sotto la superficie, ben più pericoloso della percezione comune. È il cosiddetto deep web e, con tale accezione, si fa riferimento a un modo insidioso, dove criminali e predatori sessuali trovano sfogo alle loro perversioni. Ne è un esempio il “caso canadese” riportato da un'inchiesta del New York Times, un Paese dove è attiva una task force che ha l'obiettivo di stanare questi siti: i risultati sono sconvolgenti, non solo per il tenore dei contenuti, ma anche per l'idea di community che ruota attorno a tali “affiliati”.
Il caso
La squadra che in Canada opera per contrastare la diffusione di materiale pedo-pornografico non ha a che fare solo con l'interruzione del processo di fruizione di contenuti altamente dannosi. Stando a quanto ha rivelato il quotidiano statunitense, spesso gli esperti si sono imbattuti in una vera e propria rete di predatori difficile da stanare. I dati emersi dall'azione di questi “cacciatori” nel deep web sono chiari: tre siti internet che per anni diffondevano materiale pedo-pornografico sono stati chiusi dopo tre anni! Un'enormità, che nasconde una chiara strategia approntata dai siti predatori. In sostanza, questi portali che offrono materiale criminale sono spesso gestiti da organizzazioni no-profit piccole, ma detentrici di piccoli budget. Come mostra il caso canadese, la prima parte difficile è stata stanare questi siti, perché utilizzavano un programmatore di computer abile a stare un passo avanti rispetto alle autorità, persino utilizzando politiche di società statunitensi per salvaguardare il loro comportamento criminale. Quando, nella seconda fase, i siti venivano “agganciati”, cominciava una vera e propria campagna diffamatoria consistente nell'invio di e-mail al governo canadese dal contenuto – infondato – di “grave corruzione” delle istituzioni del Paese contro il terzo settore.
Utilizzo ambiguo della legge
L'inchiesta del New York Times si concentra su tre portali online chiusi dopo anni perché in grado di nascondere le loro tracce attraverso la Cloudflare, una società statunitense deputata alla cyberprotezione di aziende. La società ha fatto sapere di essere estranea ai fatti, azi di aver recesso dal contratto con i siti in questione per ben sette volte, quando sono state rese note le loro intenzioni di eludere il targeting – cioè la possibilità di essere rintracciati tramite tag – modificando il loro indirizzo web. Ma le intenzioni di questi criminali sono andate ben oltre, giungendo nei Paesi Bassi, con Novogara, una società di hosting che ha fornito loro una “casa” sicura per le loro illecite attività. Novogara ha fatto sapere di aver rispettato le norme in vigore nel Paese. Il coinvolgimento di società europee non è casuale. Un rapporto di Inhope, la rete digitale in prima linea nella lotta all'abuso sui minori, ha reso noto che nel 2018 l'Europa ha superato gli Stati Uniti per numero di hosting di siti con espliciti riferimenti alla pedo-pornografia: i Paesi Bassi sono risultati maglia nera dell'Ue. Intervistato a L'Aia, il ministro della giustizia olandese, Ferdinand Grapperhaus, ha dichiarato di essere imbarazzato dal ruolo svolto da alcune società olandesi. “Non avevo realizzato l'entità della crudeltà e fino a che punto ci si può spingere”. La lotta ai siti web è ancora lunga. La percezione è che servirà maggiore sinergia per porre fine a un problema sempre più endemico e nascosto.