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“Papà, perché mi uccidi?”

Traditi da chi li doveva proteggere. Uccisi a colpi di pistola, accoltellati, soffocati, strangolati, picchiati a morte. Assassinati senza un motivo e senza colpa, se non quella di esistere, da killer, intimi e vicini, i più vicini a loro: i genitori. Un fenomeno, quello dell’infanticidio, che negli ultimi anni ha assunto dimensioni preoccupanti, una vera e propria strage degli innocenti: in Italia sono circa 400 i casi negli ultimi 15 anni.
Quelli più agghiaccianti scuotono l’opinione pubblica, fanno discutere, rimbalzano rumorosamente sui media per qualche giorno, provocando indignate reazioni dei politici. Poi scende il silenzio. Fino prossimo “bambinicidio”.
E' l'immagine di Medea, che maledice Giasone sacrificando il frutto del loro amore, che prevale su quella di Crono mentre divora i figli da cui teme di essere spodestato. A fare “notizia” però sono soprattutto le madri. Ben poco si parla dei padri, che pure sono autori del delitto più innaturale. Ma cosa si cela dietro questi gesti folli? Si tratta davvero di raptus? Ne abbiamo parlato con il professor Giovanni Battista Camerini, neuropsichiatra infantile.

Quali sono le caratteristiche che distinguono un padre da una madre assassina? 
“In primo luogo è necessario precisare che nel 60% dei casi sono le donne a compiere questi delitti, con motivazioni completamente diverse rispetto agli uomini. I padri uccidono infatti nella maggior parte dei casi, per gelosia, come i leoni  ammazzano i propri piccoli per avere la leonessa tutta per sè, oppure per vicende separative conflittuali, o per una profonda fragilità interiore che li porta a non sostenere l'angoscia di essere abbandonati. Per quanto riguarda poi i loro profili, presentano spesso una storia di condotte violente, legate talvolta all'uso di sostanze stupefacenti. Per le madri invece intercorrono altre dinamiche, come la giovane età, l'immaturità, una condizione di isolamento e soprattutto una forte crisi depressiva post partum“. 

Ci sono degli atteggiamenti che consentono di predire il realizzarsi di gesti omicidi? 
“Per i padri, sono rarissimi i casi in cui si può parlare di raptus, contrariamente alle madri, dove questi gesti si inseriscono all'interno di un momento di totale delirio depressivo. Tanto che dalle perizie psichiatriche risulta  che le donne, nel 75% dei casi, sono incapaci di intendere e volere. Ad avvalorare ciò è anche il fatto che i figli uccisi dalle madri sono piccoli, di età media 3 anni, mentre per i padri, hanno generalmente trai i 6 e gli 8 anni. Da ciò si può quindi dedurre che nel caso degli uomini, è più facile decifrare un'aggressività latente che potrà trasformarsi in furia omicida, perchè frutto di un escalation di gesti sempre più aggressivi a livello fisico e verbale, dove la morte del bambino rappresenta l'ultimo gradino“.

Davanti alla presa coscienza del terribile gesto compiuto, quali sono le reazioni?
“In entrambi i genitori spesso ci si trova davanti a un atto di suicidio o di tentato suicidio. Anche in questo caso per ragioni diverse. Per i padri rappresenta il frutto di una violenza estrema, rivolta persino verso se stessi, mentre per le madri è dettata dall'angoscia intollerabile e imperdonabile, per ciò che hanno commesso”.

Lo stato italiano prevede dei percorsi di recupero per questi tipi di omicidi?
“Per quel che riguarda le donne, generalmente si, in quanto attraverso percorsi di assistenza psicologica e farmacologica, si può arrivare a un recupero di questi soggetti, mentre nel caso degli uomini, quasi mai. Proprio perchè la loro furia assassina deriva da disturbi di personalità pregressi. Un ultimo aspetto da sottolineare, è che i padri hanno anche il 'monopolio' delle stragi familiari“.

Il caso di Genzano

Tra gli ultimi casi di cronaca, quello della bambina di appena 22 mesi picchiata dal compagno della madre, a Genzano, a cui il programma, “Storie italiane”, condotto da Eleonora Daniele, ha dedicato una puntata.

Don Buonaiuto: “Bisogna avere il coraggio di rompere relazioni pericolose e di denunciare”

In studio era presente Don Aldo Buonaiuto, sacerdote della Comunità Papa Giovanni XXIII, che ha così commentato il fatto: “Sembra assurdo che una madre non si sia accorta di avere accanto un uomo capace di un gesto tanto feroce. Per questo dobbiamo cercare di far capire alle tante donne o uomini, che subiscono comportamenti violenti, di trovare la forza di denunciare, di avere il coraggio di rompere relazioni pericolose. Soprattutto per tutelare i propri figli”. “I minori – ha ribadito il direttore di In Terris – devono essere sempre al primo posto”.

Don Aldo Buonaiuto, nel ribadire la necessità di una presenza sempre più decisa delle istituzioni a fianco di chi subisce violenza, ha poi fatto notare come anche la “cultura” abbia un peso fondamentale, nell’attribuire determinati ruoli alla donna all’interno della società: “Oggi piangiamo per questa bambina ricoverata in terapia intensiva al Bambin Gesù, ma non sappiamo quanti innocenti in questo momento stanno subendo violenze. Ci sono certe regioni, dove ancora purtroppo esiste un maschilismo imperante, dove si pensa che la donna debba essere sottomessa anche quando, l’uomo, il marito, il compagno, si comporta in modo incivile, irrispettoso, e violento. Comportamenti che mai in nessun caso dovrebbero essere invece accettati”. “Stereotipi – ha proseguito – che rendono difficile anche il lavoro degli assistenti sociali, costretti, come mi hanno raccontato in un paese del sud in cui sono stato giorni fa, a temere anche ripercussioni sulla propria famiglia, quando cercano di svolgere bene il proprio lavoro. Una cosa davvero inaudita”.

Nel suo intervento Don Aldo, ha inoltre evidenziato, come questo terribile fatto di cronaca, sia solo l’ennesima espressione di una società che ha perso i suoi valori: “Dobbiamo guardare con grande preoccupazione a queste relazioni così fragili, liquide, per usare un termine molto attuale, dove anche per compensare a dei bisogni molto individuali, si instaurano rapporti così instabili da determinare poi tanti altri malesseri personali, tali da poter mettere a rischio la vita dei propri figli, come nel caso di Genzano. “La società – ha fatto notare ancora il sacerdote – ha invece bisogno di recuperare il senso vero della famiglia, di riconsiderare il fidanzamento, un termine forse oggi superato, come qualcosa di realmente sacro, rispettoso e bello”. “Quando iniziano litigi che arrivano all’esasperazione, o si oltrepassano certi limiti – ha concluso il direttore di In Terris –  bisogna subito fermarsi e porsi degli interrogativi importanti, per evitare che si verifichino fatti gravi, come quelli che quotidianamente sono al centro della cronaca nera”.

 

 

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