Scandisce il Papa: “‘Dio è in ogni essere umano. La vita di un essere umano vale quanto la vita dell’intera comunità. Se si offende una persona si insulta Dio’”. Francesco sarà in Africa dal 31 gennaio al 5 febbraio 2023. Tra le tappe previste le visite a Kinshasa e Juba. Uno squarcio profetico sul futuro della Chiesa nel continente più giovane. Il viaggio apostolico era originariamente in programma a luglio 2022. Ma poi era stato posticiparlo dal Pontefice a causa di problemi al ginocchio. Tra un mese e mezzo, su invito dei Capi di Stato e dei Vescovi, Jorge Mario Bergoglio si recherà nella Repubblica Democratica del Congo. Poi, insieme all’arcivescovo di Canterbury e al moderatore dell’Assemblea Generale della Chiesa di Scozia, sarà “pellegrino ecumenico di pace” in Sud Sudan.
Papa in missione
Visitare l’Africa ha un significato profondo per la “Chiesa in uscita“. Nel pontificato della misericordia il continente più povero assume un valore determinante per il Magistero. Papa Francesco testimonia che solo uno stile di povertà e di solidarietà consente alla Chiesa di essere la Chiesa di Cristo e del Vangelo. La Chiesa, di cui Francesco si sente figlio come vescovo di Roma, deve essere povera e senza potere. Per questo deve saper rinunciare gioiosamente a tutti quei privilegi e orpelli di vario genere che hanno finito per offuscare il suo messaggio. Nella predicazione di Francesco, il Concilio Vaticano II più che essere evocato nelle citazioni dei suoi discorsi, nelle udienze settimanali e nelle encicliche è una presenza costante. Nella spontaneità dei suoi gesti. E nel suo modo di essere e di comunicare. Lo ribadiscono il leitmotiv della Chiesa povera e per i poveri, il richiamo all’accoglienza e l’invito ad aprire le porte di casa ai profughi e agli immigrati. Ne è una conferma la sua decisione di ospitare famiglie di profughi negli appartamenti della Città del Vaticano. Un gesto simbolico, evidentemente, ma anche un piccolo fatto reale che per tutte le persone, cristiane e non cristiane, diventa molto significativo.
Guerra mondiale a pezzi
L’intensità e la coerenza della missione papale non rendono mai banale lo spirito della misericordia secondo un’accezione puramente “buonista”. Perché Francesco è pienamente consapevole che stiamo vivendo in un’epoca storica particolarmente conflittuale. In cui si sta combattendo una “terza guerra mondiale a pezzi”. Quindi la Chiesa non può che auto-comprendersi come un “ospedale da campo”. La visione con cui la Chiesa guarda il mondo è quella di chi vuole combattere al suo fianco come “compagna di viaggio“. Lo sottolinea l’insigne teologo salesiano don Luis Antonio Gallo, argentino, storico docente di teologia dogmatica alla Pontificia Università Salesiana. Fin dagli inizi degli anni 80 teologo di riferimento di “Note di Pastorale Giovanile” (NPG), la rivista per educatori ed evangelizzatori ispirata dal carisma di don Bosco. NPG sollecita la riflessione e accompagna la pratica degli educatori che vogliono “stare significativamente” con i ragazzi e i giovani.
Dignità umana
Il tema dei poveri e di una Chiesa povera e per i poveri, osserva don Gallo, era già apparso, sia pure di sfuggita, nel radiomessaggio di Giovanni XXIII ai fedeli di tutto il mondo. A un mese dal Concilio ecumenico Vaticano II. Vi si diceva laconicamente: “In faccia ai Paesi sottosviluppati la Chiesa si presenta quale è, e vuol essere, come la Chiesa di tutti, e particolarmente la Chiesa dei poveri”. Ma andò poi acquistando consistenza durante la celebrazione conciliare. Già nel messaggio iniziale si diceva: “Le premure del Concilio si volgono innanzitutto verso i più umili, i più poveri, i più deboli, sull’esempio di Cristo, un sentimento di pietà per la folla che soffre la fame, la miseria e l’ignoranza inonda i cuori di coloro che vi prendono parte. Perciò i loro sguardi sono costantemente rivolti verso coloro che, sprovvisti degli aiuti necessari, non sono ancora pervenuti ad un modo di vita degno dell’uomo“.
Chiesa povera per i poveri
A fondamento della “Chiesa povera per i poveri” c’è il famoso Patto delle catacombe. Firmato da una quarantina di vescovi il 16 novembre 1965. Pochi giorni prima della chiusura del Concilio. Con esso i presuli si impegnavano, nell’ambito di una opzione per una Chiesa povera, a mettere i poveri al centro del loro ministero pastorale. La “Gaudium et Spes”, in apertura del documento, dichiarava: “Le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo“. Ma fu soprattutto nelle riflessioni dell’episcopato latinoamericano e dei Caraibi che l’opzione per i poveri acquistò un posto decisamente centrale. Lo stile di vita di Jorge Mario Bergoglio è chiaramente ispirato a un modello di Chiesa povera. Come il suo mettersi dalla parte dei poveri, degli esclusi e degli ultimi nella sua azione pastorale da vescovo di Buenos Aires.
Stile di sobrietà
Divenuto papa, evidenzia don Gallo, non solo ha mantenuto tale opzione. Ma l’ha rilanciata con insistenza a tutta la Chiesa. Nella prima udienza dopo la sua elezione, nell’incontro con oltre 5000 operatori dell’informazione, lasciò sfuggire quasi come un sospiro queste parole: “Come vorrei una Chiesa povera e per i poveri!”. E all’attuazione di questo anelito ha dedicato e continua a dedicare i suoi instancabili sforzi. A cominciare dalle sue decisioni riguardanti lo stile di vita, concretizzate nel modo di presentarsi sul balcone di San Pietro il giorno della 217 sua elezione. Nell’opzione di continuare ad alloggiare nella Casa Santa Marta e non nel palazzo papale. Nell’uso della modesta utilitaria per i suoi spostamenti nella sua diocesi. Nella rinuncia ad andare a riposare durante i mesi estivi nel Palazzo papale di Castel Gandolfo. E in tante altre decisione quotidiane improntate a sobrietà ed essenzialità.
L’opzione del Papa
Oltre allo stile di vita, la sua opzione per i poveri si esprime in gesti altamente significativi. Quali sono, ad esempio, la lavanda dei piedi dei dodici ragazzi detenuti nel carcere minorile di Casal del Marmo, tra i quali due ragazze, una di esse musulmana. O dei dodici disabili e anziani presso il Centro Santa Maria della Provvidenza. O ancora dei dodici detenuti nella Casa circondariale del Nuovo complesso Rebibbia. A questi si potrebbero aggiungere tanti altri gesti, come le visite alla favela di Manguinho di Rio di Janeiro in occasione della Gmg. Alla baraccopoli di Kangemi nella periferia di Nairobi (2015). Le visite – spesso non previamente annunziate – ai centri di anziani o bambini ammalati o alle parrocchie periferiche della diocesi di Roma. L’abbraccio affettuoso e tenero ai bambini, agli anziani e ai disabili. L’allestimento di docce e barbieria per i senzatetto in Vaticano e l’invito fatto loro a partecipare al concerto offerto nella Sala Paolo VI. E alle visite nella Cappella Sistina.