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Oceani di plastica

Il 5 giugno è la Giornata mondiale dell'ambiente, ricorrenza fissata nel 1972 dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite. Quest'anno il tema scelto per sensibilizzare l'opinione pubblica sulla salvaguardia della “casa comune” è la lotta alla plastica. In Terris ha intervistato a questo proposito Isabella Pratesi, direttore dei programmi di conservazione di Wwf Italia.

Qual è l'origine di questa Giornata?

“Nasce per mettere al centro delle nostre vite e delle politiche mondiali il valore dell'ambiente. E' giusto che ci sia una giornata su 365 dedicata a riflettere su quanto sia importante la conservazione dell'ambiente nella nostra vita quotidiana. Quest'anno l'attenzione è concentrata sul problema della plastica. Ci stiamo accorgendo, come generazione, che la plastica che pensavamo di aver gettato via, allontanato dalle nostre vite come scarto in realtà sta tornando in maniera drammatica perché non viene assorbita dagli ecosistemi ma rimane negli oceani, nelle foreste, nelle praterie, ovunque venga in qualche modo abbandonata e persiste per centinaia di anni. Oggi come oggi la gestione dei rifiuti di plastica è diventata un problema enorme, soprattutto negli oceani e nei mari”.

Qual è la portata della decisione dell'Unione Europea di mettere al bando piatti e posate di plastica?

“E' cruciale, e non solo quella di bandire la cosiddetta plastica usa e getta ma anche quella di chiedere che vengano eliminate le microplastiche, ovvero quelle estremamente piccole che vengono usate in alcuni prodotti, per esempio cosmetici, che finiscono poi nel ciclo delle acque. Quindi da una parte abbiamo il problema della macroplastica, ovvero i frammenti più grandi che sono comunque pericolosissimi per l'ambiente e per gli animali, dall'altra quello delle microplastiche, che possono essere prodotte così già all'origine oppure possono essere il risultato dello sminuzzamento, della riduzione a particelle più piccole delle macroplastiche. Le micro possono risultare quasi più letali perché entrano negli ecosistemi, vengono ingerite dagli organismi marini e gradualmente finiscono nella catena alimentare, quindi rischiano di arrivare anche nel nostro corpo attraverso quello che mangiamo. Ma c'è altro”.

Prego.

“Una sorgente spesso poco conosciuta di plastiche destinate a finire nei mari è quello che noi mettiamo addosso: i vestiti sintetici, infatti, durante i lavaggi producono una gran quantità di microplastiche che finiscono nei mari e sono molto pervasive. E diventano tra l'altro vettori di inquinanti, perché non è soltanto la plastica in sé a inquinare, con le sostanze con cui è prodotta, come gli ftalati che sappiamo essere pericolosi per la salute. Le microplastiche, aggregano molte altre sostanze che si attaccano alla loro superficie e si fanno trasportare entrando a loro volta negli ecosistemi”.

Quali sono gli obiettivi concreti di questa giornata?

“Prima di tutto sensibilizzare la gente alla riduzione assoluta dell'utilizzo di plastiche usa e getta. Possiamo davvero farne a meno: non parlo solo dei piatti, delle posate, dei bicchieri, è evidente, ma possiamo anche ridurre il nostro consumo nei sacchetti, nei contenitori, cercando di scegliere prodotti che hanno meno plastica e quando non possiamo evitarne l'acquisto fare tutto il possibile perché possano essere riciclati”.

E' inevitabile chiederle cosa ne pensate degli ormai famosi sacchetti per i generi alimentari…

“In realtà sono state inventate le cosiddette bioplastiche che possono essere compostate, ovvero finire insieme agli scarti alimentari. E' vero però che anche queste rischiano di essere pericolose perché se non finiscono nella catena del compost possono produrre residui che possono arrivare sui fondali e avere un impatto sugli ecosistemi e gli organismi marini. Quindi la verità è che meno plastica, anche bio, utilizziamo, meglio è. Cosa vuol dire? Cercare di andare a fare la spesa con contenitori veramente riutilizzabili, sacchetti e retine che ci permettano di ridurre il consumo di qualsiasi forma di plastica. Anche perché non dimentichiamo che produrre plastica richiede l'uso di energia, acqua, combustibili fossili e pertanto ha un impatto enorme per oggetti che durano poche ore nelle nostre mani e poi rimangono per anni negli ecosistemi in cui arrivano accidentalmente. Usiamo meno plastica, staremo tutti meglio”.

Quali iniziative avete in programma?

“Il Wwf ha organizzato una serie di eventi sulle coste italiane per liberarle dalle plastiche e ci stanno aiutando personaggi dello spettacolo, volontari, appassionati del mare perché raccogliere il rifiuto abbandonato o portato sulla riva dalle onde è fondamentale. Dobbiamo comprendere che non è soltanto orrendo dal punto di vista estetico ma è anche un pericolo per gli animali, perché può essere ingerito. Oltre l'80% delle tartarughe marine nel mondo ha pezzi di plastica nello stomaco. Ma vale anche per gli uccelli e i mammiferi marini. La plastica, comunque la si guardi, è un problema per l'ambiente. Basta questo dato per far riflettere: oggi ogni 5 chili di pesce nei mari c'è un chilo di plastica; se non cambiamo le nostre abitudini, nel 2030 il rapporto sarà di 3 a 1 e nel 2050 si raggiungerà la parità: un chilo di plastica per ogni chilo di pesce. Lo trovo semplicemente drammatico”.

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