“Col ricordo ancora fresco degli stupri, delle uccisioni e delle torture nella mente dei rifugiati rohingya, pianificare il loro rientro in Myanmar suona prematuro in maniera allarmante. L’annuncio odierno è stato fatto senza consultare i rohingya e non contiene alcuna rassicurazione che le persone potranno rientrare di loro volontà”. Così James Gomez, direttore regionale di Amnesty international per l’Asia sudorientale e il Pacifico, a commento dell’annuncio del ministero degli Esteri del Bangladesh sull’intenzione di rimpatriare tutti i rifugiati rohingya entro due anni.
Myanmar e Bangladesh hanno stabilito che i rimpatri inizieranno il 23 gennaio 2018. “L’ultima campagna di violenza contro i rohingya è stata preceduta da anni di profonda discriminazione per la maggior parte dei 650mila rifugiati che hanno lasciato Myanmar lo scorso anno – ha detto -. Essere rimpatriati in un arco di tempo così breve sarebbe una prospettiva terrificante. Non c’è alcuna ragione, date le politiche di diniego dei diritti umani attuate contro i rohingya, di sperare che al loro ritorno sarebbero protetti o che non sussisterebbero le ragioni per una nuova fuga”.
I rohingya, ha proseguito, “hanno il pieno diritto di tornare e risiedere in Myanmar ma non dev’esserci fretta nel farli rientrare in un sistema di apartheid. Ogni ritorno forzato costituirebbe una violazione del diritto internazionale”. Inoltre i rifugiati rohingya “hanno diritto a continuare a chiedere asilo in Bangladesh e il governo dovrebbe esplorare tutte le opzioni possibili per garantire loro una costante protezione internazionale. Non sarà possibile alcun ritorno in condizioni di sicurezza e dignità se in Myanmar non avverranno cambiamenti fondamentali, tra cui l’assunzione di responsabilità per i crimini contro l’umanità e la fine del sistema di apartheid”.