Sfuggire all'inferno delle persecuzioni nei centri di detenzione libici non sfidando le onde del Mediterraneo ma cercando di effettuare il percorso inverso, tornando nel proprio Paese per cercare di riappropriarsi delle proprie vite. Una nuova frontiera dell'immigrazione sulla rotta mediterranea che, a seguito del vertice di Abidjan, in Costa d'Avorio, sembra aver portato una speranza finora impensata per i giovani in fuga dai propri Paesi: il ritorno a casa. Una scelta non solo ormai largamente diffusa fra gli oltre 400 mila giovani che sarebbero attualmente stazionanti nei lager libici ma anche ponderata in modo piuttosto deciso dall'Unione europea e dall'Unione africana, per limitare il flusso mortale verso le sponde del mare ma anche in direzione della Libia.
Politica di rimpatrio
L'intento, da quanto emerso nel vertice svolto in Costa d'Avorio, è la costituzione di una squadra operativa che andrebbe a vigilare sui percorsi della tratta e a coinvolgere le principali autorità dei Paesi europei al pari del presidente del Governo di accordo nazionale libico, Fayez al-Sarraj: in sostanza, l'intesa si pone l'obiettivo di tutelare le politiche di rimpatrio (sempre maggiori fra gli immigrati, specie fra i più giovani) ancor prima che dalle coste del Nord Africa partano i barconi carichi di migranti e, nello specifico, impedirebbe il verificarsi di situazioni di violazione dei diritti umani, come la detenzione forzata e la vera e propria vendita di persone in tragiche e criminali aste, esempio della mercificazione di esseri umani riportata in un recente servizio della Cnn nelle zone costiere della Libia. Le stime, al momento, parlano di circa 15 mila persone rientranti nel cosiddetto programma di rimpatri volontari istituito dall'Organizzazione internazionale per i migranti (Oim): un'operazione che prevederà, innanzitutto, lo sgombero del primo dei 42 campi nel quale, secondo le previsioni, dovrebbero essere recluse poco meno di 4 mila persone.
Detenzioni disumane
Un'operazione tutt'altro che semplice, considerando la sorveglianza dei miliziani che rende pressoché inaccessibili i centri di detenzione libici. A ogni modo, come specificato dal Direttore Generale dell’Oim, William Lacy Swing, durante il Consiglio di Ginevra svoltosi appena qualche giorno fa, pur non rappresentando una soluzione definitiva, l'intensificazione del programma di Ritorni umanitari volontari si inserisce nel piano di svuotamento dei campi di detenzione e di restituzione della dignità umana ai quasi 400 mila migranti stimati come presenti sulle coste, stipati in centri sovraffollati e in condizioni completamente al di sotto degli standard sia igienici che umanitari. La motivazione principale, questa, che ha spinto molti di loro a esprimere il desiderio di tornare indietro e seguire il percorso inverso a quello preventivato all'inizio della loro migrazione, preferendo il ritorno a casa piuttosto che proseguire l'interminabile e deteriorante attesa, con l'unica prospettiva di dover affrontare il mare in condizioni precarie ed estremamente rischiose.
Stime e sensibilizzazione
Una nuova frontiera dell'immigrazione, incoraggiata non solo dagli enti internazionali come l'Unione europea e quella africana ma anche da chi, per i giovani africani, rappresenta un punto di riferimento. Cantanti ed ex calciatori (come Didier Drogba) insieme per una campagna che promuova il rientro in patria dei cosiddetti millennials in procinto di lasciare le proprie terre, avviata poco prima del bilaterale Ue-Ua del 28 e 29 novembre scorso. Caso emblematico, in questo senso, quello della Costa d'Avorio, Paese che procede a buoni ritmi di crescita ma mantiente soglie di povertà e aspettative di vita tra le più difficili dell'Africa occidentale. Ora, svolto il vertice di Abidjan (peraltro ex capitale ivoriana), l'intento è quello di porre un freno all'azione criminale sulle vie della tratta e, almeno in parte, rimediare al lassismo fin troppo marcato degli ultimi anni e intraprendere azioni finalmente comuni che possano arginare gli abusi dei diritti umani in Libia e regolarizzare i flussi dall'Africa centrale. A conferma di una tendenza crescente al rimpatrio, i recenti numeri forniti dall'Oim, i quali hanno parlato di 14.007 migranti assistiti nel ritorno dalla Libia verso i propri Paesi d'origine. Un dato certamente significativo paragonato a quello del 2016, quando il numero si attestava sui 2.775.
Verso una cooperazione?
E' certamente incoraggiante pensare che, finalmente, la comunità internazionale lavori sulla base di un accordo comune che riesca a garantire un'assistenza equamente bilanciata fra organizzazioni occidentali ed enti locali e che rappresenti una sorta di politica a metà fra la prevenzione e il soccorso. L'augurio è che, attraverso tali operazioni, si possa contribuire non solo al rimpatrio dei giovani migranti ma, al contempo, alla creazione di un piano di collaborazione per lo sviluppo dei Paesi di rientro. Al momento, stando ancora ai dati Oim, sono principalmente cinque gli Stati dai quali provengono la maggior parte dei profughi che richiedono l'inserimento nel programma: a cominciare dalla Nigeria (4.316), per poi proseguire con Guinea (1.588), Gambia (1.351), Mali (1.305) e Senegal. (973). Tutti rientranti nell'area geografica della Costa d'Avorio, teatro dell'accordo che potrebbe contribuire a scrivere una nuova pagina nella storia dell'immigrazione.