Domani, 2 febbraio 2018, ricorre il primo anniversario della firma del Memorandum d’intesa sottoscritto tra Italia e Libia per impedire le partenze di migranti e rifugiati verso l’Europa. Amnesty International per l'occasione denuncia: “Migliaia di persone restano intrappolate nei campi di detenzione libici dove la tortura è all’ordine del giorno”.
Iverna McGowan, direttrice dell’ufficio di Amnesty international presso le istituzioni europee: “Un anno fa il governo italiano, appoggiato da quelli europei, ha sottoscritto un equivoco accordo col governo della Libia a seguito del quale migliaia di persone sono finite intrappolate nella miseria, costrette a subire tortura, arresti arbitrari, estorsioni e condizioni di detenzione inimmaginabili nei centri diretti dalle autorità libiche”.
La strategia italiana venne fatta propria dai leader europei il 3 febbraio con la “Dichiarazione di Malta”. Da allora, il governo italiano e l’Ue hanno fornito alla Guardia costiera libica imbarcazioni, formazione e assistenza per pattugliare il mare e riportare indietro rifugiati e migranti. Nel 2017, circa 200mila persone sono state intercettate in mare dalla Guardia costiera libica e trasferite nei famigerati centri di detenzione libici.
“L’Europa deve urgentemente porre il tema della dignità umana al centro delle sue politiche in materia d’immigrazione – ha sottolineato McGowan -. Se l’Italia è al posto di guida, tutti i governi europei che cooperano con la Libia nel controllo delle frontiere hanno la loro parte di responsabilità per il trattenimento di migranti e rifugiati in centri dove si verificano violenze indescrivibili”. Negli ultimi mesi, i programmi per il “ritorno assistito volontario” dei migranti trattenuti in Libia sono stati estesi: nel 2017 19.370 persone sono tornate nei Paesi d’origine. “Far sì che le persone intrappolate nei terribili centri di detenzione della Libia siano rilasciate dev’essere una priorità, ma l’evacuazione dei migranti tramite i programmi di ritorno volontario non può essere la soluzione sistematica”, afferma Amnesty: “Dev’esserci piena trasparenza per comprendere se le persone ‘ritornate volontariamente’ abbiano avuto accesso a procedure adeguate e non siano state rimandate verso ulteriori violazioni dei diritti umani”.