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Meghalaya, la guerra civile che il mondo ignora

Lo stato nordorientale indiano di Meghalaya è scosso da un'ondata di violenza. L'impegno dei cristiani per scongiurare la guerra civile e per arrivare alla pacificazione. Il soccorso della fondazione pontificia Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs)

Sos Meghalaya. Nelle periferie del mondo il sangue versato non suscita l’interesse dell’Occidente. A denunciarlo per primo all’Onu fu, oltre mezzo secolo fa, Paolo VI. Il Papa canonizzato da Francesco deplorò il silenzio sulle centinaia di fronti dimenticati nel mondo. Un grido di dolore per “il sangue di milioni di uomini“. E per “le innumerevoli e inaudite sofferenze. Inutili stragi. E formidabili rovine”. Di qui l’appello papale a cambiare la “storia futura del mondo. Non più la guerra. La pace deve guidare le sorti dei popoli. E dell’intera umanità”.
Meghalaya

Missione in Meghalaya

Tra le guerre civili che il mondo ignora c’è quella che si combatte in Meghalaya. A testimoniare eroicamente la missione cristiana della pacificazione è la diocesi di Tura. Qui, nel martoriato Stato nordorientale indiano di Meghalaya, è stata fondata nel 1973 la chiesa locale. All’epoca contava solo 4 parrocchie. Oggi sono 45. La gente vive di agricoltura di sussistenza. E i raccolti dipendono dalle piogge monsoniche. La fondazione pontificia “Aiuto alla Chiesa che soffre” ha aiutato la diocesi di Tura a istituire in diverse località ostelli residenziali. Per i bambini e i giovani provenienti dai villaggi più remoti. E che senza questi centri non potrebbero compiere ogni giorno il lungo viaggio verso la scuola.

Meghalaya

Raid

L’escalation di violenza nel nord est dell’India conferma la tragica attualità del monito di Paolo VI alla Nazioni Unite. Lahkmen Rymbui, ministro agli Interni dello stato del Meghalaya, si è dimesso. Per i disordini scoppiati dopo la morte del leader separatista Cherishterfield Thangkhiew. Ucciso durante un raid della polizia. L’uccisione di Thangkhiewi ha scatenato violenze e disordini nella capitale Shillong. E ha indotto le autorità a proclamare un coprifuoco di due giorni. E a sospendere Internet. Thangkhiewi aveva fondato il suo gruppo per difendere gli interessi dei Khasi. Dopo un lungo periodo di clandestinità in Bangladesh, nel 2018 aveva trattato la resa col governo. I massa media locali considerano quanto accaduto una vendetta tardiva delle autorità.

Spinta separatista

La morte di Cherishterfield Thangkhiew ha fatto emergere tensioni mai risolte in questo angolo insanguinato del gigante asiatico. Il 54enne era uno dei fondatori del Hynniewtrep National Liberation Council. Un movimento separatista che chiede autonomia per la popolazione tribale dei Khasi. Secondo la versione della polizia, è stato ucciso per legittima difesa. Dopo che il leader aveva mostrato un coltello. Durante una perquisizione nella sua casa. Ma i familiari descrivono l’accaduto come un’esecuzione a freddo. E sostengono che gli agenti hanno inscenato un “encounter”. Termine utilizzato in India per definire le esecuzioni illegali da parte della polizia . I manifestanti hanno assaltato con molotov l’abitazione del governatore Conard Sangma. Hanno scagliato pietre contro le sedi di numerose istituzioni. Hanno bruciato veicoli. Mentre attraversavano la città sventolando bandiere nere.

Conflitti tribali

Lo stato del Meghalaya è stato creato con la separazione dall’Assam nel 1972. Si trova nella turbolenta regione a nord-est dell’India. Ed è la patria di tre grandi comunità tribali. I Garo. I Khasi. E i Jaintia. Qui è continuo l’afflusso continuo di immigrati dai paesi confinanti. Cioè da Bangladesh. Myanmar. E Tibet. Ciò ha suscitato nella popolazione il timore di diventare “minoranza nella loro terra”. E ha dato vita a varie formazioni militanti armate. Questi gruppi radicali rivendicano stati separati per le comunità etniche.

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