Manovra 2024, Bordignon: “Interventi importanti, ma non bastano per combattere la denatalità”

Bordignon - Famiglia

A destra Adriano Bordignon. Foto di Patricia Prudente su Unsplash

La manovra di fine anno riserva alcune novità per le famiglie e pone particolare attenzione al fenomeno della natalità, argomento sempre molto attuale nel nostro Paese. Sembra infatti, che la scelta di avere dei figli sia condizionata anche dal fatto che non ci siano degli aiuti consistenti a favore dei nuclei familiari. 

I numeri

Da dati Istat emerge che nel 2022 le nascite sono scese a 393mila, registrando un calo dell’1,7% sull’anno precedente. La denatalità prosegue anche nel 2023 e secondo i primi dati provvisori da gennaio-giugno le nascite sono circa 3.500 in meno rispetto allo stesso periodo del 2022. Anche il numero medio di figli per donna scende a 1,24, evidenziando una lieve flessione sul 2021 (1,25), mentre la stima provvisoria elaborata sui primi 6 mesi del 2023 evidenzia una fecondità pari a 1,22 figli per donna.

L’intervista

La denatalità è la cartina tornasole di un malessere che le famiglie italiane vivono da molto tempo e la manovra in corso fa ben sperare che qualcosa possa presto cambiare. Interris.it ha intervistato Adriano Bordignon, presidente di Forum delle Associazioni Familiari. 

Presidente, che cosa prevede questa nuova manovra?

“Il primo vero passo di politica familiare è stato fatto due anni fa con l’introduzione dell’assegno unico universale. Il governo Meloni ora sta dimostrando un’ulteriore apertura verso il tema famiglia e ha aggiunto altri interventi. Si tratta della decontribuzione per le madri che rispecchiano alcuni parametri ancora non del tutto chiari, dell’aumento dei congedi parentali e dell’innalzamento della quota di contributo per i nidi che andrà a coprire una spesa di 3600 all’anno”.

Queste misure possono aiutare una donna a tornare al lavoro?

“Noi in Italia abbiamo un numero di donne occupate molto basso rispetto agli standard, almeno 20 punti percentuali in meno alla Francia e alla Germania. Se però ci sono delle politiche di walfare e i mariti condividono i compiti di cura della famiglia le donne sono più incentivate a dare il proprio contributo al mondo professionale, con delle competenze e una qualità del lavoro che molto spesso solo loro sanno offrire. Inoltre, è da notare che ad alti tassi di occupazione femminile corrisponde anche un aumento della natalità”. 

Tutto questo basta?

“Pensiamo che questi interventi siano molto importanti, ma che da soli non riusciranno ad invertire il tasso di denatalità. Serve una terapia shock fatta di grandi investimenti economici, di servizi territoriali e di valorizzazione del compito della famiglia. Per questo motivo noi chiediamo innanzitutto un potenziamento dell’assegno unico e come avviene in Germania e in Francia senza presentazione dell’Isee. Siamo consapevoli che non potremmo arrivare subito a tutto ciò e nel frattempo sollecitiamo che venga ridotto il gap tra chi percepisce di più e chi meno, alzando la quota minima, oggi fissata a 54 euro al mese per chi non presenta l’Isee”.

La manovra sembra però non tenere conto di alcune lavoratrici, come quelle a partita iva o a progetto.  

“Purtroppo ad oggi tutte queste misure sono pensate per chi ha un lavoro a tempo indeterminato, che già di per sé ha delle sicurezze. Serve invece una maggiore apertura verso chi ha un lavoro precario e per le professioniste che non possono godere di permessi come i congedi familiari. Non dimentichiamo che al giorno d’oggi ci sono sempre più donne che pur di lavorare accettano contratti temporanei o aprono un’attività in proprio. Una politica familiare deve essere generosa, universale e strutturale, dove nessuno sia escluso”.

Nota una maggiore attenzione verso il problema della denatalità?

“Negli ultimi anni sicuramente c’è una presa di coscienza che un figlio non è e non deve essere un semplice costo per la singola famiglia, ma rappresenta un vero e proprio investimento per un’intera comunità. Per questo motivo un Paese come l’Italia non può pensare di costruire un futuro senza puntare sulla crescita delle nuove generazioni”.

Elena Padovan: