Ha vinto la verità, i nostri manifesti “#Noeutanasia” contro la legalizzazione del fine vita, sono legittimi; contraria al decoro e al buon senso è la dittatura del politicamente corretto invece e di chi vuole violare il diritto inalienabile alla vita”. A cantare vittoria sono il Presidente di Pro Vita e Famiglia Antonio Brandi e del vice presidente Jacopo Coghe, dopo che il Gran Giurì dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria ha accertato che la campagna della Onlus – tra le promotrici del Family Day – non viola il suo codice.
Il caso
I manifesti dell’associazione erano stati affissi lo scorso settembre a Roma, Milano e in altre città italiane e rappresentavano persone con fragilità che potrebbero chiedere il suicidio assistito, stando ad alcuni controversi disegni di legge che giacciono nelle commissioni parlamentari. Una ragazza anoressica, un ragazzo depresso, una anziana, un malato di tumore. “Marta, 24 anni, anoressica, potrà farsi uccidere. E se fosse tua sorella? Alessandro, 18 anni, bullizzato. Potrà farsi uccidere”, sono i testi che ricordano un pericolo reale: quello che potrebbe accadere se il nostro Parlamento legiferasse in materia di eutanasia e suicidio assistito. “Ora si sappia che le nostre affissioni erano regolari – proseguono Brandi e Coghe – si tratta di una comunicazione onesta, veritiera e corretta caro Cappato e cari radicali e non c’è una 'esagerazione della problematica sociale' né si tratta di 'richiami scioccanti'”. Coghe e Brandi rivolgono quindi ai sindaci dei Comuni che ordinarono la rimozione dei manifesti: “Ci hanno fatto una guerra ideologica ci chiedano scusa e si rendano conto che sono loro a discriminare e poi ad impedire anche il diritto di opinione e la libertà di pensiero costituzionalmente garantiti”.
La situazione all'estero
I responsabili di Pro Vita sottolineano che la deriva mortifera è una prospettiva che in altri Paesi, purtroppo, ha già preso forma con l’auto-eliminazione dei depressi, dei fragili, dei deboli dalla società. Solo in Belgio infatti i casi sono aumentati esponenzialmente dall’approvazione della legge nel 2002, si è passati da poche centinaia di richieste l’anno alle 2.357 del 2018. Un trend in continua crescita anche in Olanda, Canada e in altri Stati in cui è stata legalizzata l’eutanasia e il suicidio assistito. Particolarmente significativo il settimo Rapporto di registrazione delle eutanasie in Belgio, che riporta 113 casi di persone morte per eutanasia per cause psichiatriche come depressione, demenza anche ad uno stadio precoce, disturbi bipolari, schizofrenia e altre malattie mentali.
No alla cultura dello scarto
Contro l’eutanasia e la cultura dello scarto si è pronunciato più volte Papa Francesco. Appena venerdì scorso, ricevendo in udienza i membri del Centro Studi “Rosario Livatino”, ha rimarcato che il “diritto di morire” che alcune pronunce giurisprudenziali “inventano” è “privo di qualsiasi fondamento giuridico”. Pronunce per le quali – ha proseguito il Pontefice – l’interesse principale di una persona disabile o anziana sarebbe quello di morire e non di essere curato”.
Non è la prima volta…
Vale la pena sottolineare che il Gran Giurì della pubblicità non è la prima volta che interviene a giudicare un campagna di Pro Vita e Famiglia, assolvendo la Onlus. Esattamente un anno fa l’Istituto per l’Autoregolamentazione Pubblicitaria ha stabilito che la campagna contro l’utero in affitto, “Due uomini non fanno una madre”, non violava alcuna norma del codice pubblicitario. Anche in quel caso diversi sindaci ordinarono la rimozione dei manifesti perché ritenuti offensivi. Ricordiamo che l’utero in affitto in Italia è un reato penale e condannato in un pronunciamento della Corte Costituzionale che l’ha definito una pratica lesiva della dignità umana. “Fuochi verranno attizzati per testimoniare che due più due fa quattro. Spade saranno saranno sguainate per dimostrare che le foglie sono verdi in estate” diceva Chesterton. Quel tempo sembra essere arrivato.