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Malati di Alzheimer, prof. Gandolfini: “Non sono uno scarto o un onere sociale di cui liberarsi”

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La persona affetta da Alzheimer non rappresenta una vita indegna di essere vissuta, non è uno 'scarto' o un onere sociale di cui liberarsi”. E quanto afferma il professor Massimo Gandolfini, neurochirurgo e psichiatra, Direttore del Dipartimento di Neuroscienza, Primario dell'U. O. Neurochirurgia dell'Ospedale Poliambulanza di Brescia. In Terris ha intervistato il prof. Gandolfini per fare luce sulla Malattia di Alzheimer

Professore, può spiegarci che cosa è l'Alzheimer?
“Nel 1907 Alois Alzheimer, neuropatologo e psichiatra, descrisse un quadro di degenerazione del parenchima cerebrale, con decadimento cognitivo sul piano clinico, in una paziente di 51 anni che era morta per demenza progressiva. Da quel momento, “malattia di Alzheimer” (MA) è divenuto termine onnicomprensivo di tutte le forme di demenza primaria e si connota come una malattia cerebrale caratterizzata da demenza progressiva ed irreversibile, che si manifesta in età adulta o senile. Oggi la MA è la forma più frequente di demenza dell’anziano e riguarda circa 600.000 cittadini italiani (5 milioni negli USA). Si prevede che nel 2050 questi numeri saranno triplicati. Statisticamente il sesso femminile è maggiormente colpito: una donna over 65 ha una probabilità su 6 di contrarre la malattia, un maschio una su 11. Le ragioni di questo divario ci sono ignote. Vale sempre e comunque la storica frase di Angela Geiger, una dei maggiori esperti in tema: 'Chiunque è a rischio di Alzheimer'”.

Esistono fattori di rischio per MA?
“Oggi vi è accordo fra tutti gli esperti che soltanto l’età avanzata e l’anamnesi familiare positiva possono essere considerati significativi fattori di rischio. In tutti gli studi epidemiologici il rischio relativo fra familiari di primo grado dei malati è sempre risultato più alto rispetto alla popolazione generale”.

Quali sono le cause della MA?
Le vere cause ci sono tuttora ignote. E’ universalmente accettato il pensiero che la MA sia una malattia plurifattoriale, con cause eterogenee. Sono definitivamente superate le ipotesi vascolare e virale, mentre sono ancora oggetto di grandi studi l’ “ipotesi genetica” e quella delle 'proteine anomale', peraltro caratterizzata da stretti collegamenti con la precedente”.

Si tratta di una malattia ereditaria?
“Partiamo dalla constatazione epidemiologica che i parenti di primo grado dei pazienti con MA, se raggiungono un’età di 85 anni ed oltre, hanno un rischio cumulativo di malattia attorno al 50%, contro il 10 % della popolazione generale. Tecnicamente si dice che la MA può essere ereditata come un tratto autosomico dominante con una penetranza età-dipendente. Vi sono, poi, rare famiglie con MA ad esordio pre-senile (50-60 anni) in cui si sono individuati geni correlati alla malattia sui cromosomi 1,14, 19 e 21, che codificano per particolari proteine. Le alterazioni neuropatologiche tipiche della MA sono le 'placche senili', la presenza di amiloide perivascolare e le degenerazione neurofribillare. Come principale responsabile di queste alterazioni viene chiamata in causa la cosiddetta 'amyloid precursor protein' (APP) il cui gene codificante si trova sul cromosoma 21. Oggi si è orientati a pensare che un’alterazione del metabolismo della APP provochi un accumulo di una proteina tossica per il tessuto cerebrale, la Beta-amiloide. L’accumulo intraneuronale della beta-amiloide è causa di perdita di sostanza cerebrale e di funzionalità del sistema nervoso centrale, sottoforma di progressiva atrofia del parenchima cerebrale (nelle forme presenili, sono frequenti reperti autoptici di cervelli gravemente atrofici, con peso inferiore a 1000 grammi!). Tutto il cervello è coinvolto, ma le regioni di maggiore danno sono la corteccia cerebrale frontale, temporale, e del sistema limbico (ippocampo, amigdala)”.

Quali sono i sintomi di esordio della malattia?
“Fermo restando che esiste una grande variabilità da soggetto a soggetlo, i sintomi di esordio più frequenti sono:

  • Ingravescenti disturbi della memoria a breve termine
  • Note di rallentamento ideativo, con difficoltà a trovare le parole adatte durante un discorso;
  • Eloquio caratterizzato da fonemi inesistenti e privi di significato (disartria);
  • Tendenza a ripetere parole appena ascoltate (ecolalia)
  • Difficoltà nella grafia e nel disegno (incapacità a copiare forme geometriche semplici), fino a vera aprassia ideomotoria, nella forma più avanzata;
  • Note di disorientamento spaziale (dapprima) e poi temporale;
  • Disturbi del comportamento sociale (gestione del danaro, errori nella gestione del bilancio familiare)
  • Disturbi del comportamento affettivo (gelosia, egocentrismo, disinteresse affettivo, manie persecutorie, delirio di gelosia).

Evolvendo la malattia, la sintomatologia peggiora progressivamente:

  • Compromissione del controllo sfinterico;
  • Appetito smodato o, al contrario, totale indifferenza per il cibo;
  • Comportamenti sessuali indiscreti ed esibizionistici;
  • Disinteresse per l’igiene personale
  • Disturbi simil-parkinsoniani nel comportamento motorio
  • Acinesia e mutismo

Nella fase più avanzata, denominata 'demenza terminale', il paziente giace a letto quasi immobile, incapace di eseguire qualsiasi movimento finalistica, con postura in flessione spastica, con alimentazione assistita (sondino n.g. o peg). La durata media di questo progressivo percorso degenerativo è di circa sette anni, ma le variazioni individuali sono molto significative. L’exitus avviene, solitamente, per patologia infettiva intercorrente (vie aeree, vie urinarie)”.

Esiste la possibilità di eseguire esami diagnostici precoci?
“Circa le indagini diagnostiche per individuare la MA va ribadito che è fondamentalmente una diagnosi clinica, e non strumentale. L’utilizzo di tecniche di neuroimaging (TAC e RMN encefalo) ha soprattutto lo scopo di escludere altre condizioni patologiche che possano presentare all’esordio clinico caratteristiche simili alla MA. In particolare: idrocefalo normoteso dell’adulto e cerebropatie ischemiche multi-infartuali. Il quadro neuroradiologico tipico della MA è rappresentato dall’atrofia cerebrale che può essere generalizzata ma che – più tipicamente – coinvolge le aree dell’ippocampo, circonvoluzioni limbiche e nuclei grigi della base. Anche l’imaging funzionale cerebrale (PET e SPECT) sono utili nel documentare il ridotto metabolismo neuronale, con deficit di flusso regionale, soprattutto nei lobi temporali e parietali. Lo studio EEG non mostra particolari significatività, ma consente di documentare una ridotta attività elettrica corticale diffusa, con incremento delle attività theta e delta (3/4 Hz), a scapito del fisiologico ritmo alfa (9Hz). Certamente più specifici sono i test 'neuropsicologici', idonei a quantificare le capacità cognitive di cui il paziente ancora gode. Vi sono e vengono utilizzate varie scale di funzionalità; quelle di più largo impiego sono il Mini Mental State Test e le Scale di Folstein”.

Esistono dei farmaci che possono bloccare il processo degenerativo che colpisce le cellule cerebrali?
“Purtroppo, nonostante un’attività di studi e di ricerca veramente impressionante su scala mondiale, dobbiamo ammettere che ancora non esiste una vera terapia per la MA. La FDA americana ha registrato vari farmaci con attività di supporto rispetto all’inesorabile progressione della malattia, ma nessuno di essi è in grado di incidere in modo significativo, neppure nel senso di un rallentamento. Ciò detto, il trattamento dei pazienti con MA si avvale di farmaci “sintomatici”, cioè che cercane di attenuare in sintomi, senza però incidere – come già detto – sulla malattia in quanto tale. Vengono, quindi, utilizzati farmacio inibitori dell’acetilcolinesterasi (donepezil, rivastigmina, galantamina) che possono rallentare la distruzione delle cellule neuronali provocata dalla malattia; memantina, che contrasta l’effetto tossico del glutammato sui neuroni; antiossidanti (selegilina, Vitamina E, gingko-biloba) si ritiene siano in grado di rallentare i processi ossidativi che caratterizzano l’invecchiamento cellulare. Altri farmaci “sintomatici” di cui spesso hanno necessità i pazienti affetti da MA sono i neurolettici, analgesici, sedativi, ipnotici, antiperkinsoniani, per affrontare la variabile sintomatologia di contorno, tipica della progressione della malattia”.

E' possibile fare prevenzione?
“Assistiamo quasi ogni giorno ad annunci di diete, alimenti, prodotti naturali, condotte sociali e personali che possono proteggere dall’insorgenza dell’Alzheimer. Fermo restando che una condotta di vita “sana”, scevra di eccessi di ogni genere e tipo, è sempre un importante valore da promuovere e tutelare, va detto a chiare lettere che non si hanno riscontri con valore scientifico circa la possibilità di prevenire la malattia. Non possiamo che ribadire il concetto espresso all’inizio di questo sintetico report: tutti siamo a rischio Alzheimer e chiunque può contrarre l’Alzheimer”.

Professore, vuole aggiungere qualcosa?
“Vorrei concludere con una chiosa di carattere etico e di etica sociale. La persona affetta da Alzheimer non rappresenta una vita indegna di essere vissuta, non è uno 'scarto' o un onere sociale di cui liberarsi e – soprattutto – mentre calano progressivamente tutte le proprie capacità fisiche e mentali, non cala nemmeno di un grado il livello della sua dignità personale, che va riconosciuta, tutelata e protetta fino alla morte naturale. La vera civiltà di una società e di un popolo si misura dalla capacità di accudimento e protezione delle persone più fragili e deboli. La persona con MA è proprio una di esse”.

Manuela Petrini: