Non c'ĆØ santo senza passato, non c'ĆØ peccatore senza futuro“. Sono queste le parole che Papa Francesco, ha rivolto ad Antonello, detenuto che ha svolto un percorso alternativo al carcere nella ComunitĆ Papa Giovanni XXIII fondata da don Oreste Benzi. Antonello, durante l'udienza generaleĀ ha consegnato al Pontefice una caciotta chiamata “Formaggio del perdono”, prodotta in un'azienda agricola dell'Apg23. In Terris ha intervistato Giorgio Pieri, responsabile del progetto Cec – comunitĆ educante con i carcerati – dove circa 290 detenuti ed ex detenuti seguono un percorso educativo personalizzato.Ā
Cosa sono le comunitĆ educanti con i carcerati?
“Le Cec sono comunitĆ che hanno l'obiettivo non solo di educare i detenuti ma anche gli operatori e i volontari. Chi la vive, cammina e si lascia educare dalle provocazioni di questa realtĆ . E' un percorso di revisione della propria vita, ma anche di fede. Sono formate dai cogestori del progetto, che sono gli operatori responsabili della ComunitĆ Papa Giovanni XXIII, daĀ volontari e dai recuperandi, ossia i reclusi”.
Quali sono i principi alla base di queste realtĆ ?
“Le Cec si basano fondamentalmente su quattro pilastri: innanzitutto la presenza della comunitĆ esterna. Le Cec non possono esistere seĀ il territorioĀ non ĆØ coinvoltoĀ direttamente. Vengono quindi chiamatiĀ dei volontari, persone che donano il loro tempo, gratuitamente, per portare avantiĀ questa opera. Vengono coinvolti due volte a settimana per gli incontri di gruppo e personali, inoltre accompagnano i carcerati nelle varie attivitĆ comeĀ scuola di calcio, corsi d'italiano e uscite libereĀ la domenica. Rappresentano il mondo esterno e devonoĀ assolutamente essere coinvolti nel percorso educativo perchĆ© poi i carcerati prima o poi usciranno da queste comunitĆ . Questa condivisione con i carcerati mette in crisi le proprie sicurezze, perchĆ© sono persone difficili, perchĆ© nel reato di ogni persona, in qualche modo, ĆØ coinvolta anche la societĆ . Nei momenti significativi dell'anno liturgico andiamo nelle parrocchie per partecipare alle liturgie penitenziali, durante le quali il detenuto parla dei reati che ha commesso, il volontario dei propriĀ peccati e si scopre cheĀ sono abbastanza equiparabili.Ā Il secondo principio ĆØ quello dell'auto mutuo aiuto:Ā all'interno di questa comunitĆ i detenuti non sono assistiti, ma vengono coinvolti in varie modalitĆ e si chiede loro di impegnarsi in prima persona nelleĀ diverse responsabilitĆ . Fra queste quella del confronto reciproco che serve a liberarsi dalle catene interiori. Le sbarre che si fa piĆ¹ fatica a rimuovere sono quelle dentro la persona, incatenata a una serie di comportamenti che in qualche modo inducono a perpetrare atteggiamenti delinquenziali. Se si riesce a far ciĆ², il recuperando diventa un vero maestro di vita, un apostolo nei confronti degli altri, la sua parola ha peso. Il terzo ĆØ la pacificazione con le famiglie di origine:Ā non possiamo pensare o sperare in un cambiamento effettivo se la famiglia non ĆØ coinvolta in questo percorso di liberazione. L'ultimo pilastro ĆØ rappresentato dall'attivitĆ ergoterapica o lavoro terapia o attivitĆ occupazionale: la capacitĆ di occuparsi di varie mansioni, anche lavorative,Ā in molti casi portaĀ anche alla professionalizzazione della persona”.
Con quali criteri proponete il progetto ai detenuti?
“Nelle nostre struttureĀ ci sono omicidi, ladri, rapinatori, ma anche persone che hannoĀ trafficato in esseri umaniĀ e indotto molte ragazze alla prostituzione. Noi accogliamo tutti secondoĀ il criterio che “l'uomo non ĆØ il suo errore”. Questo era quello che ciĀ diceva sempre don Oreste Benzi, perchĆØ l'uomo ha una vocazione ad amare e questo ĆØ quello che noi dobbiamo fare: tirare fuori la capacitĆ di amare che in molti casi viene bloccata dal peccato. Noi cerchiamo di rimuovere questi ostacoli e far emergere la dimensione positiva che ĆØ presente in ogni uomo”.Ā
Ci sono dei detenuti che abbandonano il percorso?
“Non sono poche le persone che rientrano in carcere, perchĆ© stare da noi ĆØ dura. Proprio adesso abbiamo a che fare con un detenuto che ha passato 35 anni dietro le sbarre per omicidio. Lui sta seriamente ragionando se tornare in carcere perchĆ© la vita comunitaria ĆØ impegnativa. Per alcuni ĆØ piĆ¹ comodo stare su una brandina senza fare niente. Invece da noi ogni ora ĆØ scandita dalle varie attivitĆ che gli proponiamo, soprattutto sul piano educativo”.Ā
Lo Stato contribuisce al sostentamento delle Cec?
“La legge permette l'affidamento a chi ha la possibilitĆ in qualche modo di mantenersi. L'Apg23 provvede al sostentamento di queste persone che diventano a costo zero per lo Stato e quindi permette ai detenuti di iniziare un percorso con noi.Ā Questa ĆØ una grande ingiustizia”.Ā
Qual ĆØ il tasso di recidiva tra chi termina questo percorso?
“Il rischio di recidivaĀ si abbassa dal 75% – che ĆØ quella a livello nazionaleĀ di chi sconta una pena in carcere – al 15%. Ogni giorno nelle carceri italiane entrano circa 150-180 detenuti e ne escono 140. Noi sappiamo per certo che circa 105 di loro, tornano dietro le sbarreĀ per reati anche piĆ¹ gravi di quelli commessi precedentemente. Questo significa che le prigioni italianeĀ stanno diventando sempre di piĆ¹ una scuola, anzi un'universitĆ della delinquenza. In poche parole il sistema si sta autoalimentando, allora possiamo osare e dire che il carcere ha fallitoĀ nella sua missione di restituire alla societĆ persone migliori”.
Per realizzare questo progetto a chi vi siete ispirati?
“La metodologia su cui si basano le Cec si basa sul metodo Apac (Associazione per la protezione e Assistenza dei condannati) nato in Brasile negli anni '70. Grazie all'utilizzo di questo metodo, nello stato del Minas Gerais, si stanno chiudendo le carceri tradizionali e apronoĀ quelle Apac, dove non ci sono guardie. In questi casi la recidiva si abbassa dall'80% al 10%. Se questo metodo funziona in Brasile, deve essere applicabile sia in Italia che in Europa. Il progetto delle Cec, in fin dei conti, ĆØ nato nel 2008 quando don Oreste ci ha mandato in Brasile per capire come funzionavano le Apac. Una volta lƬ ci siamo resi conto che non dovevamo inventarci nulla di nuovo, maĀ abbiamo integratoĀ quel metodo con l'esperienza dell'Apg23 e cerchiamo di dare una risposta ai detenuti”.
Quante Cec sono attive in Italia?
“La prima comunitĆ educante ĆØ nata nel 2004 e si chiamaĀ 'Casa Madre del Perdono'Ā e si trova a Taverna di Montecolombo (Rimini). Nel 2005 ĆØ stato sviluppato il 'progetto Rinascere' al 'Pungiglione' a Mulazzo (Massa Carrara). Poi c'ĆØ la 'Casa Madre della Riconciliazione' e poi abbiamo aperto altreĀ struttureĀ a Vasto, Cuneo e Coriano. Fra un mese ne inaugureremo un'altraĀ a ForlƬ. Sono sette in totale. All'apertura dellaĀ 'Casa Madre del Perdono', il vescovo ha lanciato l'idea dell'universitĆ del perdono che ĆØ un'iniziativa molto interessante. La societĆ guarda ai detenuti identificandoli sempre nel carnefice, maĀ sono anche vittime. Prima di intraprendere un percorso di riconciliazione con la societĆ , devono perdonare chi ha fatto loro del male. Il male cresce nelle ferite del cuore. Le ferite, spesso, sono provocate dal peccato. E' un circolo vizioso che va spezzato. Per spezzare questa catena il perdono ĆØ la parola d'ordine”.
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