Andreea aveva 26 anni, veniva dalla Romania. Arrivata in Italia sognando una vita migliore, si trovò costretta a vendere il suo corpo lungo buie strade di periferia. La trovarono crocifissa, morta impalata, sotto un cavalcavia dell'Autosole alle porte di Firenze. Arietta di anni ne aveva 24, rumena. Anche lei scappava dalla povertà. Il suo cliente la violentò, la derubò, la uccise a coltellate e infine la gettò sui binari facendola tranciare da un treno tra Modena e Bologna. Sofia, 24 anni, nigeriana, è stata bruciata viva vicino Bari. Nicoleta, Benedicta, Arietta, Christina, Venetita, Lioara, Jennifer, Angela, Andreea Cristina, Evelyn, Sofia, Loveth sono dieci donne accoltellate, strangolate, avvelenate e persino crocifisse. Giovani che, in occasione della giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, saranno ricordate in diversi eventi organizzati dalla Comunità Papa Giovanni XXIII.
Un rischio esteso
Una casistica particolare dei femminicidi, quasi ignorata perché etichettate “prostitute”. Eppure significativa, proprio perché estrema. Un rapporto Eures, conta in Italia 184 omicidi di donne che si prostituivano in 15 anni, pari circa al 6% dei femminicidi. Con la particolarità che, in questi casi, le donne erano più giovani, straniere e con un'alta percentuale di casi irrisolti. Studi internazionali mostrano che le persone che si prostituiscono hanno un maggior rischio di essere uccise in confronto al resto della popolazione. Sbaglia chi pensa che un eventuale legalizzazione possa arginare il problema. Negli ultimi anni in Olanda sono state uccise 127 prostitute, in Germania 91. Si tratta di paesi in cui la prostituzione è legale e regolamentata. Una ricerca della London School of Economics mostra che i paesi in cui la prostituzione è legale riportano un maggior numero di vittime di tratta. Ma qui non si intende neppure usare le statistiche per appoggiare un modello piuttosto che un altro.
“Sfruttate fino alla morte”
Il punto è che definire la prostituzione come una mera transazione economica tra adulti consenzienti, nasconde la verità sull'intrinseco abuso verso le donne. Le prostitute sono donne, i clienti sono uomini, pertanto la disuguaglianza di genere è intrinseca nella prostituzione. Ecco perché la prostituzione è una forma di violenza di genere. La più brutale. Per questa ragione fintanto che in un Paese, nel nostro Paese, non si affronta e si risolve il problema della prostituzione non si potrà mai risolvere quella sulla violenza alle donne. Fintanto che un uomo potrà comprare il corpo di una donna, allora non si potrà mai parlare di parità di genere. Gli uomini che vanno a prostitute comprano una forma di potere ancora prima di una prestazione sessuale. Ed infatti sovente i clienti chiedono perversioni qui non trascrivibili. I clienti non comprano sesso ma dieci minuti di dominio assoluto. Un dominio che può arrivare fino alla morte, come per le dieci donne che la Papa Giovanni non dimentica. Il presidente, Giovanni Paolo Ramonda, parla di donne “sfruttate fino alla morte. La cui vita era considerata meno importante delle nostre e quindi dimenticate. Per questo le ricordiamo, le ricorderemo, preghiamo per loro e per i loro aguzzini”.
Punibilità dei clienti
Per troppo tempo la prostituzione è stata considerata un atteggiamento della donna. Aver scoperto il cliente-uomo è stata una “scoperta” recente. Oggi il modello legislativo di riferimento per il contrasto alla prostituzione è quello nordico-svedese. In esso il cliente della prostituta viene considerato corresponsabile dello sfruttamento e pertanto sanzionato, mentre la prostituta è considerata vittima di sfruttamento. Pochi sanno che la famosa norma svedese che colpisce la prostituzione è inserita in una più ampia legge per combattere la disparità di genere. Per gli svedesi la prostituzione è una forma di disparità di genere. Per riequilibrarla hanno previsto la punibilità dei clienti. Uomini che devono cambiare mentalità, uomini che devono essere aiutati a maturare nella loro personalità.
Un modo nuovo
Ad onor del vero il primo ad intuire la necessità di sanzionare i clienti fu don Oreste Benzi. Il sacerdote dalla tonaca lisa iniziò la sua battaglia per la liberazione delle prostitute nel 1989 dopo che incontrò una donna alla stazione di Rimini che gli svelò l'orrore che viveva. A metà degli anni '90 don Benzi iniziò a rivolgersi ai clienti, maschi italiani, padri di famiglia. “Le ragazze sono schiave e i clienti sono complici” ripeteva. Oggi la sua battaglia continua attraverso il lavoro di tanti volontari della Comunità da lui fondata, ma anche da tante piccole associazioni locali che hanno sposato la linea di don Benzi. In ultimo, diverse associazioni femministe italiane hanno sposato la linea del modello nordico.
Un auspicio
La Comunità di don Benzi intende rilanciare con questi eventi la campagna di sensibilizzazione “Questo è il mio Corpo” per la liberazione delle donne vittime di tratta e sfruttamento sessuale. La campagna ha raccolto fino ad oggi oltre 31.000 firme per chiedere al Parlamento che anche in Italia sia approvata una legge basata sul cosiddetto modello nordico, in cui i clienti sono considerati corresponsabili dello sfruttamento della condizione di vulnerabilità della donna e pertanto vengono sanzionati. Come successo in Svezia, una legge porterebbe ad un cambio culturale rispettoso nei confronti della donna. In attesa che una legge sia approvata, i volontari di don Benzi continuano ad uscire lungo le strade italiane per incontrare le donne che si prostituiscono, vittime di questa “moderna schiavitù”. Una missione che continuerà fintanto che non saranno liberate.